Un’aperitivo stabico


Mi siedo su una sedia di eroina rossa per un aperitivo in un bar ansimante tra proboscidi di panna cotta. Gioisco al vedere una gazzella che incrocia le gambe e guarda la mia bottiglia carica di sperma filosofale. E gioisce alla vista dei girini che solleticano le frattaglie della sua specie in una carica colossale di veleno e di allegria alcolizzata. Mi guarda e mi si avvicina al galoppo per chiedermi “Avresti mica da accendere?” le sorrido e le passo una cornacchia pelosa che viene direttamente dall’Inferno.
“Mica avrai paura di volare tra le dita dei buoi?” mi fa con sguardo allupante. Io la guardo sprezzante e le allungo un panino sulla coda il che la eccita come un panino al prosciutto crudo con contorno di valchirie e mozzarella in carrozzella.
Mi allunga un diritto e un rovescio e capisco che vuole essere presa lì senza se e senza ma tra i caprioli incravattati e gli stuzzichini al veleno di topo gigio.
Non mi tiro indietro ma le tiro una coltellata al collo e ne faccio polpette in una visione della via lattea che non lascia dietro di se altro che scie di comete a forma di burro e salvia.
Mi accascio stanco tra formicolii di buchi neri e arrosti urogenitali per contenere la passione virile di un fungo atomico bello a vedersi e caldo di microonde. Ci baciamo ed esprimiamo un desiderio sul bancone del bar in mezzo a cani e porci che ci hanno imitato e leccato.

Il salto del saltimbocca


Imbocco la strada della generosità e mi piego all’agenzia delle entrate per mendicare un tozzo di pane raffermo davanti alla chiesa della scienza medica. Mangio un panino di staminali condite con sperma di tricheco cieco. Sa di Nutella. Ma con un’aggiunta di fragola e panna. Resto incinta e mi dirigo verso la posta prioritaria per raccomandarmi a Dio non appena tornerà a Fatima per un incontro ravvicinato, molto ravvicinato: peloso.
Prego lo Zio Dio di darmi il pane quotidiano con la marmellata di prugne della nonna Elvira. Sorrido adiacentemente a un lupo di marmo di Carrara che arriva ultimo alla gara di pallavolo della sezione uno della scuola di addestramento lupi mannari. Ma applaudo festosamente mostrando i padiglioni e suonando una sinfonia Patetica modificata geneticamente con Staminali di Stamina e di Gramigna al pesto.
Una chiesa informa i fedeli del cambio della guardia al governo delle lucciole. Abbiamo cambiato la legge elettorale. Quindi i sudditi saranno contenti. Ma non abbiamo cambiato le nostre remunerazioni. Quindi i sudditi saranno contenti. E anche noi. Poi cambieremo il Senato e faremo un giro delle poltrone e le chiameremo le Grandi Riforme dei saltimbocca. E ci faremo un bourbon alla senape e brinderemo in onore di pecore e cavalli.

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Un dolore lancinante di pasta al pomodoro.


Mi riempio di pasta a pieni polmoni. Un grande respiro mi porta ad Alpha Centauri alla velocità del pensiero. Se penso troppo viaggio per l’universo su una cavalletta epilettica. Una versione beta del mio cervello mi farebbe comodo per testare sogni e universi mentre la cavalcata delle Valkirie canta un’ode a Amadeus che piange nel letto di morte per un Requiem erotico dedicato a sua nonna.
Con Enrico raccatto la spazzatura delle stelle e prego in ginocchio un intestino crasso di montarmi la panna sulla fronte una volta che uscirò da questa storia in posizione supina. Buon compleanno Murphy. Sulla stella d’autunno intingi il tuo marchio tra sangue di donna e fuliggine d’amore che entra spalancando la finestra sul mattino umido e caldo. Dopo una notte di urla e orgasmi ti accasci alla radice delle tue pene per bere il brodo di Frodo che fa ancora le fusa strusciandosi al tuo mantello di pelle.
Godo di una sinfonia di stelle e dirigo l’orchestra di spasmi epilettici di giovani giovenche in abito da sera in cerca di un flauto armato di succo di mela da bere per aperitivo.
Spritz!

Una tunica argentata troppo corta


Una galera di gnocchi alla panna si stappa una coppa di champagne per festeggiare la bottiglia di rospi che grondano saliva al salutare una manna di stronzi che viaggiano su aerei di Stato. Una Stamina viene processata e condannata al pubblico ludibrio per motivi spastici. Mi muovo tra plastiche di manna plastificata e pubblico un Convivio al bar dello Sport.
Pranziamo con le Erinni per una notte di stelle con Medusa e le sue amiche del giaguaro.
Ardea vola in elicottero per una notte d’amore estremo sui monti del Kilimangiaro, ma al momento dell’orgasmo precipita su una libellula che sta partorendo, la quale pensa che sia un meteorite urlante.
Aldavio si scusa per essersi presentato in ritardo alla finale di coppa campioni e aver fatto perdere la propria squadra con un autogol, ma una litigata con la moglie dell’ultimo minuto gli ha fatto perdere le mutande portafortuna senza le quali non può giocare. Le mutande le aveva mangiate il cane. Dopodiché Aldavio diventerà un postino precario.
Voterò nell’urna in cui Dio ha il raffreddore così non mi vede. Voterò per la formazione che fa meglio i propri interessi. Voterò per la fata turchina se mi dice che rottamerà SENZA mettere nessuno al loro posto. E poi voterò per chi farà sparire la fata turchina.

Il poeta delle eresie


Sorvola una preghiera di zolfo. Una grande intesa tra il Paradiso e l’Inferno permetterà a Dio di governare ancora sulla crisi planetaria che ha causato lui stesso a forza di sputi al tetano. Rosalia 58 anni si masturba davanti ad una garza e a sei cerotti bianchi col ditale della nonna ma non riesce a venire perché deve fare pipì.
Il partito del KK si contorce i muscoli facciali e le budella attorcigliate attorno all’intestino tenue che sorride tenuamente e tenuamente si irrigidisce per spiegare a Budda che le tagliatelle al ragù non le possono fare i monaci altrimenti a lui gli sparisce la flora e la fauna zoologica.
Perciò Luana decide di diventare ministro della repubblica della banana split, un po’ come giocare a bocce col morto, tra una capinera guasta e una fronda di lumache e fa l’amore con il marito così come l’ha sempre fatto, mentre lava i piatti a luci soffuse con la musica della lavastoviglie sul fondo e otto orgasmi di fila. È l’unico modo per riuscire a dormire per una notte senza sognare Dio che esplode di burro e panna.
Marco si gratta le unghie e fila sul tordo di una noce moscata bevendo un succo di flanella nella morte rapida di un dipinto variopinto.

Pus di sogliola verginale in calore liquido.


Sigola partoriente di uno sperma inflitto da secoli di barba ispida che si scontra con occhi azzurri che scendono dal cielo. Forma di stelle. E di marzapane. Godi puttana essenza di un’esca torbida e vogliosa. Tradisci la tua anima e mieti vittime di polvere da speranza. Un’anima in pena. Un’anima di panna.
Voglio l’erba voglio. Una farina bianca che si aspira come un palloncino.
Vedo e non vedo. Una foglia rossa di sangue. E di sperma liquido. Evapora in mille pezzi. Davanti al fiume rosa. Di petali cadenti dalle stelle di letame appariscente. A-E-I-O-U.
E ficcano le dita su per il naso.
E I O U.
E Fondono il retto decadente in sordide minchiate. Di roba sparsa in mezzo ad un garage. Martelli pneumatici.
Pneumi e aneurismi sono sdraiati su un pezzo di sciopero. Mano tagliata che disturbi il sonno dei cadaveri. Buoni per la zuppa. Elettroshock che si scioglie come amianto liquido. Un’alchimia inseguo. Una foglia verde rame che si trasformi nel mio oro elegantemente acceso a tavola.
Aristocraticamente. Balla il rock. E impazzisce di tagliatelle in grasso d’oca e sperma di cavallo.
Un cammello insegue una tartaruga e si accoppia con lei.
Una suora esigua si masturba con un righetto e una penna a sfera a forma di croce uncinata.
Una zingara piange sulla pioggia di una finanziaria che decapita persone e miete sanguesu ebrei e zingari.
Zingari ripieni di libertà verde pisello.
Sì, certo, mi ricordo Amir, ricordo che sparavi cannonate ai nemici, da piccolo, ma ora sei grande e ora devi sparare i missili. Ora sei un uomo. Un vero soldato agli ordini del grande Godzilla. Godzilla di guarda.
Godzilla ti vuole. Prendere con sé. E tu obbedisci e lanci i missili di mais e matate. E ridi a crepapelle, mentre coinvolgi seguiti di sciami di zanzare che si muovono come ballerine drogate di sperma liquido e vaginale.
Non pensare. Non uccidere. Abbraccia una monaca fuggente. E fuggitiva.
Schioda la fantasia dalla realtà e trucida le sette capinere.
Assali il sesso di un Dio demiurgo.
E quello di un Dio bestiale che sente di appartenere ad una setta di credenti impazziti.
La tastiera si muove e sa di bomba ad orologeria. Lo sento con la lingua. Lo amo con la milza. Amami amore mio e il mio cuore di mamma si tufferà nel profondo della primavera. In mezzo a stagni liquidi. E danzerà mietendo vittime di realtà multidimensionali che non guardano il satellite dal buco di una serratura ma bensì da una cioccolata a forma di sfera arrugginita. Fu così che finì il mondo, mio caro. Dietro al sole.
I pianeti si mettono il rossetto. E adocchiano il sole dietro una cortina di stalle che sta mangiando il crack per flippare di energia cosmica e soddisfare la propria lussuria plateale. Il tutto davanti ad un pubblico gaudente che applaude e ride. Tira pomodori al sole e si scioglie in un’orgia di tuberi e patate pericolose che esplodono ad una certa ora schizzando il sangue tra piatti di pasta e uccelli del pleistocene.
Un periodo d’oro per il ragù. Fiori esplodono d’amore e tirano le funi tra miseri soldi e attrezzi da lavoro di contadini liquidi. Dosando accuratamente la fonduta al formaggio mio accorgo della difficile missione del decano della spiritualità che accondiscende alla contraddittoria allusione di Platone sulla meritocrazia delle pillole di Aragosta. Liquida. E rock. E tardo. E plop. Un plot che non ruggisce. Una stronza strada di stradivari.
Esco e non esco.
Un piatto di lupini. Liquidi.
Una grande volta storta si riempie di pus.
Al rimpianto di una storia d’amore mi reggo e mi aggrappo ad una liceale in minigonna.

La dama delle famelie – parte due


La cosa non va per il verso giusto. Avrebbe voluto una cosa serena e civile, e invece le usciva solo voglia di uccidere. Proviamo a calmarci, pensa, facendo anche una pausa di silenzio.
Lui continua a riempirsi il palato con zucchero imburrato di cacao quasi a digerire in una nuvola di dolcezza qualsiasi cosa gli venga lanciato.
“Non voglio più stare con te” “Perché?” fa bevendosi una birra come se gli avesse raccontato l’ultima notizia del telegiornale. “Perché te l’ho detto e perché …” “Perché…?” “…p-p-puzzi” “Puzzo?” “Sì, sì. Puzzi. Sì puzzi. Come una capra puzzi, non ti si sta vicino quando parli, puzzi di ascelle, di aglio, di birra, di fumo accumulato da anni nei capelli e nei vestiti, la tua pelle puzza e non parliamo del fatto che scoreggi allegramente facendo sesso” “E ti dà fastidio?” “No, non è fastidio, è agghiacciante. La metà delle volte mi tocca di fingerlo l’orgasmo, perché tanto so che non vengo più e mi chiedo se la prossima volta riuscirò ad abituarmi. Non ti sei mai chiesto perché non esco mai con te in compagnia?” “Vuoi stare con me da sola, no?” “No, no, anzi, no. È solo perché nessuna delle mie amiche resiste alla tua presenza. Dopo che sono stata con te devo andare a casa a farmi una doccia e lavarmi anche i capelli prima di poter vedere qualcun altro” “Vedi qualcun altro?” “Cosa c’entra” “C’entra visto che lo tiri fuori tu e che invece di dire di no subito cerchi di prendere tempo” “No, nel senso ‘altri’, ma no, sì, sì, vedo anche qualcun altro, tanto vale che ti dica tutto, tanto avevo già deciso di farla finita e ho cominciato a vedermi con qualcun altro, uscire e basta, s’intende…” “S’intende” “…ma mi piace e mi ha fatto pensare che …” “Che?” “Che esistono altri uomini al di fuori di te, del tuo basket, del tuo mondo delle foto e dei ranocchi e rettili che fanno schifo. Insomma non ti sopporto più. Hai capito?” “Ho capito, non c’è bisogno che alzi la voce”
“Io voglio un uomo che ci sia non che abbia mille cose da fare, che pensi a me, che posso sentire vicino, che ci sia quand’ho bisogno di lui, uno che posso presentare alle mie amiche e con cui uscire in società e che non pensi solo a due o tre cose e basta e solo a se stesso e io a fare solo quello che vuole lui, tra cui il sesso” “Il sesso?” “Sì ne ho abbastanza di farlo tre volte al giorno, è troppo, sembra un lavoro” “Mi sembrava che non ti dispiacesse” “Sì, no, all’inizio era bello, ma così è troppo, voglio qualcuno che abbia il giusto equilibrio nelle cose e che mi ascolti e che sia interessato a quello che faccio io o di cui parlo io” “Sono interessato, quelle poche volte che ne parli. Se non parli, non so cosa farci. Penso che ti faccia piacere ascoltarmi o le cose che faccio e così vado avanti. Se tu non ti mostri non posso certo farlo io per te” “Sì va bene ma…” non so cos’aggiungere “E poi non capisco perché tutte ‘ste cose non me le hai dette prima” “Prima? No, non volevo rompere una bella emozione. Ero innamorata e anche tu. E non volevo rovinare tutto arrabbiandomi per una cosa o per l’altra” “Capisco e lo fai tutto in una volta quand’è troppo tardi. Credi che sia più costruttivo?” “N-n-no, ma oramai” “Appunto oramai. Voglio dire se mi dicevi prima che puzzavo, ok, non sarà piacevole, ma la soluzione non è difficile, mi lavo e punto, problema risolto” “Sì, in effetti” “Invece di farlo montare come la panna” “…” “E se mi dicevi una cosa dopo l’altra anche quelle si risolvevano. Sono un essere umano. Ogni tanto ho bisogno di spiegazioni” “Ma te le ho spiegate” “Ma non in modo da farmele capire. Voglio dire se vedi che non ho capito, puoi rispiegare. Anche urlare è permesso, non ne esco con un trauma infantile. Non è che lanci una parolina lì e uno deve essere telepatico” mi metto a giocherellare con il cucchiaino da caffè “E poi c’è un’altra cosa. In tutto questo mi piacerebbe sapere dove sono io” “Come sarebbe tu? Il problema è proprio che non ci sei altro che tu” “No, qui non ci sei altro che tu, che la tua check list, e le tue esigenze di come dev’essere un uomo. Ti sei chiesta se anche io voglio una donna in un certo modo? Che forse anch’io ho bisogno di una donna che sia lì per me, per darmi una mano. Sembra che ci sei solo tu e le tue esigenze e stai solo mettendo delle crocette se soddisfo o no le tue esigenze” “…” “Forse tu non lo sai. Non è che lo pubblicizzo in giro eh. Ma io chiedo spesso se vado bene per te, se non ti faccio perdere tempo. Se una cosa ti piace o no, e da quello che mi dici adesso no, ma se mi pare che ti piaccia, tipo il sesso, cerco di dartene più possibile, e adesso imparo che era tutta una commedia. Per esempio” “…” “E poi mi chiedo che se questa storia finisce, se avrai un bel ricordo oppure se magari non finisce, se sarò giusto per la tua vita. Non te lo dico tutti i giorni eh. Anzi mai. Ma me lo chiedo, mentre da quello che mi dici tu non te lo poni neanche per sogno”. Silenzio. Un silenzio tanto lungo quanto assordante che devo interrompere con qualche balbettamento “Beh, non ci avevo pensato e adesso che me lo dici…” ma oramai è lanciato e non mi caga neanche “Io per esempio voglio una donna che parli subito, chiaro e relax invece di portare le cose ad un punto di non ritorno. E voglio una donna che si chieda che esigenze ho io e se può fare qualcosa per me. Ovvio che si fa un compromesso. Ma mi pare che tu sia entrata nel mio mondo per vedere se andava bene per te. Hai deciso che no. E adesso mi dici ciao” “Ecco…” “E pretenderesti pure che la responsabilità della cosa sia mia” “No, non pretendo che la responsabilità, cioè…Scusa…” faccio abbassando gli occhi e chiedendomi se potrei suicidarmi infilandomi un cucchiaino nello stomaco “…non pensavo…che…ecco, scusa, sì forse ho sbagliato e non mi sono resa conto…che pensavo, che non ho pensato a…cioè mi sembrava di pensarti e che invece tu no, e …oddio scusa”.
Silenzio. Se il silenzio può uccidere ti prego fallo ora, sì proprio in questo istante e preferisco anche affrontare il diavolo piuttosto gli occhi di questo che mi fissa e che mi fa sentire, beh, non ci sono nemmeno parole, no, neanche quella, per dire quanto mi senta un escremento dell’escremento. “E adesso, come rimaniamo?” “Rimaniamo che paghiamo il conto e ce ne andiamo. Cameriera?” “Sì, fanno 11 euro e cinquanta” “Tenga il resto” “Grazie” “Prego. Comunque la torta era uno schifo”