Mi cibo di rotoli di spazzatura eterna. La sapienza ci viene da boccioli di alberi morti che respiriamo in un attacco lancinante di diarrea. Sono quelli che portano avanti il progresso dell’umanità. Là dove il sangue si mescola alle feci vengono poste le basi di ogni sana rivoluzione del proletariato. Gay compresi. Meno male che c’è What’s Up. Che ci libera dal peccato. Perché i dieci comandamenti sono fatti per riunirci davanti ad una pietra tombale di margherite che sanno di divina commedia.
Sento un sapore di arrosto di sberle e mi chiedo se anche questo Natale sarà come gli altri e Google ci manderà un sacco di torte sulla testa mentre dormiamo e sogniamo polli allo sbando che si gettano fango in faccia e usano le gengive per dominare sul creato color cioccolato in lacrime.
Chatto con il Che che mi racconta del suo viaggio in Colombia, tra cascate di piombo e tortellini alla panna affinché la fuliggine di una mietitrebbia si coccoli con carezze di una santa bevitrice che vede la Madonna scendere dal pelo pubico. Preghiamo insieme e diciamo Pane e Volpe la mattina per aprire lo stomaco e digerire i rospi della giornata così che il pavimento non sia più verde metallo. Il Che si affanna e mi appanna il parabrezza col fiato fetido del suo sudore. Un calcio nelle palle di un asino che si affatica sul tornio di un gelataio che sa di ragù di pollo fritto.
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Palle di piede
Mi sveglio dalle quindici mani che mi toccano durante la notte e sogno palle di spiedini arrostini che mi imbavagliano i piedi e impediscono loro di urlare intanto la sveglia grida e gracchia come un corvo stupido. Melenso si iscrive a un corso di scrittura e veleggia verso lidi incantati da lucciole a pagamento. Per forza mi siedo ai piedi di un tronco di senzatetto e raschio la mostarda dalle ghiandole salivari di una pantegana zoppa. Grido nel buio di un deserto delle salse tartare e guardo le bolle di pus scoppiare nel silenzio dello spazio di una tempesta solare.
Leggendo l’odissea galleggio nella flottiglia di asparagi che trasmettono alfabeti Morse agli egiziani in guerra con la patatina fritta che li ingloba in un tubo di cemento che misura ventisette once di farina all’uovo. M’infilo quindi in una doccia dissacrante e controllo il capostipite delle lettere dell’alfabeto sotto vuoto spinto. Un Eros saltellante e una Psiche sull’orlo di una crisi di nervi ma saldamente.
E tu amico mio. E tu e noi. E voi che ci guardate giocare con le carte da tressette. Un movimento assurdo ma contento. Che si crogiola di sedicenti avvenimenti che portano a reggersi sulla punta di una sedia. Che un rivolo di cacca scivoli dalle tue labbra mentre porti sulle spalle i peccati del mondo, ma non capisco perché perdonarli, solo perché non sanno quello che fanno all’interno di un codice binario. Solo gli idrovolanti sanno quello che fanno. Allora perdonami sempre.
Non è paese per fessi
Mi abbevero alla fontana del soglio pontificio e starnutisco alla presenza del pastore tedesco grattandomi le palle dei piedi. Mi costituisco alla forza pubblica per aver letto giornalini porno in età inferiore ai due anni. Il miglior periodo della vita di una bambina è quello premestruale. Tra tornado di carboni e venti che spazzolano i capelli alle capre di alta montagna deve raccogliere fiorellini per la Messa delle diciotto e trentacinque che si svolgerà sulla guglia nordoccidentale. Preghiamo insieme tra le granate della prima guerra, tra le fosse Ardeatine e quelle del Col di Lana. I candelotti di dinamite mi scoppiano in mano e tremano di fronte alla determinazione della mia corteccia cerebrale.
Il rosso fuoco di un verme solitario solletica il mio ventre e permette una scossa di terremoto che finisce per esplodere in maniera esplosiva ed erodere tutto quello che circonda la tazza del cesso papale nel tempo record di venticinque minuti e otto secondi. Quando esco ho fame di freddo e ghiaccio e prendo a calci nel sedere una gomma da masticare tra i polmoni di un tricheco fumatore.
Nella nuova caledonia non c’è posto per fessi, ma i rincoglioniti cronici possono sturare i lavandini e murare i gabinetti tra le fogne di Calcutta e i mari dei Sargassi.
Scio per i monti del Südtiroler Volkspartei cogliendo le genziane e le stelle marine a forma di trifoglio liquido mentre i gorgoglii dei dentifrici s’illudono di essere nominati Strofinacci della Repubblica delle Penne a Sfera per sette anni.
Un bel cavolo scarlatto
Sono circondato da spiriti peripatetici che fungono da esperti in corpi medici credendosi scienziati che si credono dei.
Affliggono frustate a piccoli vermi aberranti che si sciolgono nella merda zuccherosa delle loro frattaglie intestinali. Convengo che la battaglia è dura caro Watson e permettimi di dissentire basandomi sulla visione delle streghe di Salem mentre una bionda cattura la mia attenzione perché mette sale nel caffè.
Inshallah my friend che blowing in the wind. Salutami il vento e bacia le palle di Dio in una scopata divina nel canyon delle anime buongustaie.
In fondo Giovanna aveva ragione a masturbarsi in tribunale per scagionare lo stomaco del maiale.
Le Erinni urlano dall’alto dell’Ade e bruciano nelle sante Inquisizioni leggendo la pagina di cronaca nera.
Curaro my friend Alabama ricordati di Alamo e friggi le patatine in salsa di pus di peste nera per un piatto multicolor che attizzi la nostra fantasia di cadaveri ambulanti
Uova
Bevo una birra in cima ad una montagna incantata e mi chiedo se il mondo sopravvivrà. Poi penso che è una domanda cretina perché non ha risposta. Poi penso che tutte le domande più importanti non hanno risposta. Quindi le domande più importanti sono cretine. Forse è cretino cercare risposte a tutti i costi, ma non farsi domande. Ed è cretino non avere le palle di vivere nel dubbio costante. Quindi è intelligente porsi domande cretine se non si pretende di trovare una risposta. Quindi la risposta è nella domanda stessa. O, meglio, la risposta è la domanda.
Tutto questo per dire che saremo sempre più poveri. E che in fondo il mondo non è altro che una palla che gira, se a noi ne girano due, tanto peggio, tanto meglio.
Ho un amico che si libra costantemente nelle palle (e nei cazzi) degli altri per evitare di scornarsi contro le proprie. Utilizza un fraseggio arcaico e una generosità ultra-cristianoide. Ma in fondo, la domanda è: meglio avere palle che girano o stare senza e immergersi in quelle di un altro? Dipende dalle palle di ciascuno. Il che dimostra che la domanda è cretina.
Ho un’amica incazzata con se stessa per il fatto di non avere palle e tende a scontrarsi contro gli specchi che le riflettono il suo senzapallismo. Chiaramente rimbalza e si fa male. Ma continua così, indefessa e più lo fa e più riesce a ferirsi e quindi trovare ragioni per scagliarsi contro gli specchi senza mettere in dubbio, chiaramente, il suo senzapallismo, perché se lo facesse avrebbe palle e quindi ammetterebbe di non averle avuto fino ad ora, il che è una contraddizione in termini. Quindi, ancora una volta una domanda colta: nasce (e muore) prima l’uovo o la pallina? Ancora una volta la domanda è nella risposta che non c’è, quindi è una domanda cretina.
Carrube
Rane si scindono ai cancelli di burro al cioccolato. Un esercito di liberazione della scocca anti acida piange lacrime di sperma laterale. Inventandosi bocche da sfamare le rane rivendicano il loro diritto all’omosessualità.
Ed è così che le pulci dell’universo si chiedono il senso della loro esistenza mentre vanno al cinema con la fidanzata. Il corno di babele s’inalbera vistosamente e perde i capelli che diventano girini rosa pallido.
L’umanità scorreggia e l’universo è attonito. Mi accorgo delle palle di pelle di un asino ebreo circonciso che legge la torah con interesse e gli chiedo “Ma l’inflato non ti solfeggia lo scroto?”
“Aiutati che il ciel t’aiuta” mi fa e mi rivolgo quindi al sole per illuminarmi d’immenso e ispirare i radi peli di Flash Gordon che decanta la Divina Commedia davanti al Monte dei Pascoli amari, mentre un serpente scivola dietro alla suora in preghiera. E la stupra senza che se ne accorga. Salvo un po’ di spavento quando vede uscire un boa dalla vagina. Pregando dio che la cosa si ripeta più spesso dato che sono state notti felici.
Non ti dimenticherò, spugna della mia vita. Voglio riempirti con la mia anima. E con i miei occhi.
Amore delle mie spire passami la birra che devo bere rane e sperma di una vulva concreta. Passa il tamburo nelle mie vene e annuncia l’annunciazione che annuncia il rinascimento della specie delle morene nere. Occhi neri e sorriso da cane randagio in cerca di sesso.
E una cagna in calore in cerca di un cane da mangiare. E di uno scroto da aspirare.
Cala il sipario di una commedia infernale che erode godendo il santuario delle nozze gay.
Faccio la comunione da una suora lesbica.
Cosimo ergo sum
Un vomito blu mi parla su un sottofondo di sitar indiano. Sfrappole fritte piovono da ogni dove su una città di campagna dove si tirano ancora i carri coi buoi. Un elmo da guarra si stira insieme a voci rauche che cantano in un coro di bambini di chiesa. Gloria nell’alto dei cieli e pace nelle fogne di Calcutta ai topi e alle gazze ladre di palle di piombo. Cerruti è un marchio da sballo. Ma Cosimo Pietraguerra è altrettanto sborrone. E io vesto Cosimo.
Bacio il bacio della fortuna affinché vesta le vesti di seta e copra le menti dementi di un capo branco a cui l’alcol ha dato alla testa di cazzo. Cazzo, un pene, una poesia, del cazzo, appunto.
Suor Cecilia era una ragazza alta e magra che non riusciva mai a dire la cosa giusta al momento giusto e allora dava l’informazione al gruppo. Trovava un ruolo, quello di gazza ladra, o di corvo dato che era alta e vestiva di nero. Le amiche si rivolgevano a lei come fosse google, ma era l’unico modo di avere la loro attenzione. Poi siccome in parrocchia le davano tanta più attenzione quanto più lavoro faceva e che le suore erano più simpatiche delle sue amiche, le venne naturale farsi suora. A 50 anni s’innamorò di un chierichetto. Cugino di un’altra suora.
Un’urna funeraria raccoglie le sue ceneri portate in processione da tutto il paese nell’attesa di essere presto dichiarata santa. Miracoli piovevano dal cielo come Parmigiano sui topi a ogni orgasmo nel quale chiedeva perdono con tanta forza da far accendere tutte le luci del paese. E anche gli elettrodomestici.
Scivolando giù per il tubo del gladiatore il redentore ripuliva i pollici inondati di sesso e celebrava una messa nello sfintere gassoso d’incenso e metano liquido.