In un battello di negri le cui urla si potevano sentire a chilometri di distanza nell’oceano indiano il sangue colava dalle fruste e i mercanti marinai.
Yussuf si rese conto che era meglio buttarsi nell’oceano che finire così. Non era legato perché si pensava che nessuno avrebbe fatto una pazzia così, ma li aveva sentiti dire che un’isola era vicina in direzione del sole che tramonta.
Forse avrebbe potuto aspettare la notte, ma allora lì sarebbe stato nella stiva in catene. Prese la rincorsa e due uomini gli si buttarono addosso all’altezza del bacino, ma se l’aspettava e girò su se stesso e riuscì a sgusciare via, perse l’equilibrio, ma non cadde, ma rallentò la corsa e altri stavano arrivando, a occhio, non ce l’avrebbe fatta, ma non aveva più niente da perdere, con la coda dell’occhio vide qualcuno alzare il fucile.
C’erano ancora due uomini tra lui e il mare, due della sua tribù che si scansarono.
Saltò, per l’ultima volta vide la luce del sole che lo colpì in pieno volto e
per l’ultima volta udì un colpo di fucile.
Fu un momento d’amore per sé. Stava librando nel vuoto. E ricordò le parole del suo sciamano “Segui la via dell’aquila”.
La pallottola attraversò il cranio di uno dei suoi che e lui toccò l’acqua gelida dell’oceano mentre altri fucili lo aspettavano al varco.
Lo sapeva, e restò in apnea per dieci minuti, da buon cacciatore di coralli. In quei dieci minuti successero molte cose sulla nave e molti corpi vennero gettati giù dalla nave. Non erano corpi neri. Ed affondavano direttamente tirati giù dalla corazza e dai vestiti impregnati d’acqua. Quando riemerse si ritrovò a nuotare da solo in direzione della palla di fuoco, mentre la notte stava arrivando e i suoi compagni si trovavano con una nave alla deriva, dato che non c’era più nessuno che sapesse farla navigare.
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I flussi infausti delle cimici allegre
Mi alzo e vado a zonzo nei deliri dei miei pensieri e trovo Gioplano. Un biplano giocattolo dell’epoca dei nonni aviatori allo sbaraglio. Tra i giocattoli del solaio. Pulito e perfettamente pronto a volare.
Non vola finché non ci sono montato sopra. È un simpaticone. Non occorre neanche il telecomando. Basta parlargli e non raccontargli barzellette altrimenti perde quota come un sasso. Diventiamo amici planando tra le farfalle e i pollini striati di fiori che cantano inni in cori gregoriani.
Un’atmosfera natalizia ci circonda e i pinguini ci salutano. Sono venuti a cercare Madagascar ma nel frattempo si godono la vacanza marina e pescano sardine al supermercato. C’immergiamo in oceano e scopriamo una città piena di smog e piante tropicali.
Mi violento. Sì da solo. Su un letto d’alghe. È stato bellissimo. Ma come faccio a denunciarmi?
Un gettito d’aria calda mi riporta allo sviluppo costernato di pacchetti aerei che sto stampando fuliggine in un corriere postale. Una foto di biplano mi avviluppa nelle sue spire dato che mi era cascato addosso il poster gigante attaccato a una parete.
Scrivo a occhi chiusi tra il sotto e la morte, mentre le parole sgocciolano dal mio rubinetto scintillante di perle colorate e i miei piedi battono sul costume dei pirati una scopa e tressette ululati in piena prateria.
Ecco il grande Morfeo che viene a prendesi ciò che gli appartiene e mi porta con lui, una volta per tutta, spero.