Una piscina aleggia sul cielo di Bologna e accende una speranza per l’umanità. Un tuffo nel vuoto molleggia la pinna. Molleggia una spanna di panna di perle che scendono per la mia fronte tra gocce di sangue e preghiere di cori gregoriani, mentre balliamo la salsa la mattina in riva al mare di Comacchio. Resta con noi, non scender dal cielo. Resta lì e non ti muover o dio beato. Che stavamo meglio prima. Ma se non puoi proprio farne a meno non raccontarci che c’hai fatto un piacere.
Meglio l’urina di un sacco di merda. Meglio la merda di un oro colato. Meglio la rita pavone che la diga di un gattopardo in calore. Metti poi che ci si frigga lo sperma ed ecco fatto il becco a l’oca. Giuliva. Nella grande schiera delle gatte delle nevi ci fregiamo di caldi arrosti che scendono a valle e mangiamo grandini di pettini argentati che pattinano violenti in un’aura di stroboscopi illuminati. E’ lì che Artisia si masturba in mezzo a tanti bambini che scivolano via urlando a mosca cieca tra musiche colorate e gomme da masticare a culo sul ghiaccio ardente.
Ma riesce a venire dopo tanto masticare le gocce di tempo che non sembrano voler darle tregua mentre fuori impervia la tempesta di sassi e preservativi contro le finestre di sale del palazzo dello sport che non lascia spazio ai neuroni di Godzilla anche perché non ci sono senza sberle. Vedi? È per questo che cerco di spiegarti l’origine della vita. Per sapere dove finisce anche se prima che finisce campa cavallo che non storna perché anche se storna non incorna nemmeno a pregare in greco. Che tra Atene e Sparta ne hanno fatte di cotte e di crude come la bresaola che non è come la mortadella, anzi. Che poi, anche se lo fosse, ma comunque.