Una gaia combriccola di pesci froci


Una gaia vicenda di pesci morti trascende la dimensione del mio pollo asciutto mentre i giochi della fame si srotolano davanti alla mia mente di grande fratellone. E aspetto che i buchi sotto le ascelle aspettino il pettine per lisciarsi i capelli e di nuovo le cascate del Niagara cascano e si fanno male. E di nuovo il medico prescrive una Rossana verderame per via orale e non è per quello che mi raso la pelle fino a farmi male, ma per le dinamiche in corso e il fatto che, no, non posso sopportare l’abolizione del Senato.
E allora perché? Questo il punto e questa la buccia di banana di un ganglio spinoso rettale fino all’addome e alla pancia violenta che diventa casta e pura nell’anello coronato di diamanti che non voglio dire che manca la poesia in questa torta sonnolenta, voglio solo dire che ho sonno. Ecco. E che la arbitraria volontà del giudice Stecchino di provocare l’arrivo della corsara di Colombo è un tentativo complottistico di taratura minore per fare sesso con le spiaggianti di Ostia e con le farfalle di rabarbaro in questa terra prodigiosa che chiamano…boh.
Un dermatologo mi fa La sua pustola è infetta. E allora, faccio io, si guardi la sua che cola pus che sembra la fontana di Trevi. Ma è un orologio, cos’ha capito, mi fa torvo. E allora provi a sfilarselo. E allora me lo dà, e allora me lo tengo e ciao. Perché il giallo, non era pus, era oro.

Tredici morti camminan sul tetto


La gravità scinde il mattone e decide di riportare in vita una granata della prima guerra mondiale a occhi chiusi. Ciecamente si spoglia delle sue vittime e si unisce in matrimonio con il mattone piantato su un cimitero. Un mattone conficcato nella testa tra le labbra per non amare fino al cervello per non sentire. Il fallo matrimoniale concepisce urla di passione mentre la folla acclama in festa la verginità perduta ai giochi della felicità. Evochiamo solennemente le giunche che scorrono sull’acqua della voluttà per perderci grassamente tra fili d’erba della foresta amazzonica e mangiare festosi pranzi natalizi tra la pubblicità del samsung tre e dell’i-phone cinque.
Perdiamoci e regrediamo allo stato di giunchi paludosi tra serpenti che sobillano le folle per portare il veleno alle loro bocche e cantare di gioia per il dolore confuso con l’orgasmo.
Armiamoci popolo per una classe dirigente sadomaso che mangia dalla bocca e mangia dal culo. Scoppiano di sangue succhiato dai morti che camminano e urlano la loro rabbia per non poter succhiare di più. Giochi della fame alle olimpiadi del Golgota si sfiorano la mano per assicurarsi la vittoria. La vittoria non lecca il culo.

Delirio pazzo


Paco azzurro sceglie i feromoni della galassia rinomata da un vino spumante doc che resuscita i morti dopo la fine del mondo. Uno stappo nucleare rimette i cordoni della borsa in una situazione analogica senza saper usare l’informatica correttamente. Un parlo mi tarla la cervice e mangia l’insalata delle mie sinapsi croniche mentre ragni escono dalle orecchie e devitalizzano i nervi ottici il cui liquido seminale è succhiato da vampire orride che segnalano il fruscio dell’onda dissanguata tra un cestello di vimini e un Viminale stampato in fronte alle ghiandole surrenali.
Pazzamente pazzo il delirio si spalma su una zolletta di zucchero oleoso. Una canna traduce gli effetti del gracile Minotauro che stura le orecchie da un’allegra banda bassotti. Il riso allegro di una banda di serpenti bambini rinvigorisce il clavicembalo di sarde aggrappate al canotto di salvataggio di un’elica municipale che associa pazzia e accattonaggio. Mentre il sonno cala. E la pensione diminuisce di valore. Ma la ripresa è dietro l’angolo, che aspetta e aspira, mangia e ride come un maiale e come un maiale alla fine diventerà salsicce alla griglia.
Una capretta s’immagina di volare nel cielo di un cardigan di lana di capra che la porterà dritta fino allo spazio siderale là dove un’astronave l’aspetta a pranzo. Per diventare l’agnello sacrificale che urina sui peccati del mondo.
Il pesce si asfissia abbronzandosi al sole cocente.

Tre colori: violetto rosa pallido


Blu mare. Un attico sovrasta la mia porta d’accesso. E il volo pindarico si siede e attanaglia la gola di una pulce d’acqua. Una grassona nera si arrampica su un filo di lana e scorreggia davanti al pubblico attonito. Applausi scroscianti per questa dimostrazione di aerofagia e risate oltre a due morti intossicati dal metano che gli è arrivato in faccia mentre tossivano.
Dorina Cavalcavalli così si chiama la maga del cuscino d’aria che vede e prevede il futuro di un’umanità in smoking e foulard annegato nel caviale e champagne. Si nutre di algoritmi e può prefedere qualsiasi numero su qualsiasi roulette. Quando morì non l’aveva previsto e venne portata in volo da due elicotteri in una bara per elefanti.
Allocchi si girano tirandosi monete d’oro e vituperando monili di pastasciutta. Mi scomodo e mastico un pandoro al latte d’asina nel cortile di una suora sconsacrata. Con lei volo in una cascata di solletico e rabarbaro.
Raffaele è un personaggio incontrato in un bar durante una serata di solitudine. Mi ha raccontato di essersi perso dopo che l’avevano ucciso in una storia. Ho pensato che potevo farlo vivere io in una delle mie. Gli ho detto che doveva darmi una mano e allora mi ha raccontato quella in cui era. Si era svegliato a Milano che sua moglie non c’era più. L’amava profondamente ma era sparita. La polizia non la trovava e lui disperava di trovarla viva. Finché non la incontra un giorno a Palermo in compagnia di uno più giovane di lei. La segue e vede che vanno in una villetta in campagna e in giro gli dicono che quel giovane è suo marito. Al che entra e gli spara. Alla moglie. E il ragazzo spara a lui. Solo che prima di morire riconosce il figlio di suo fratello. Anche lui sparito dopo la moglie. Ora non sa più che pesci pigliare e vorrebbe tornare indietro e perdonare sua moglie e allora mi tocca di rifargli una storia su misura. Raffaele ha i capelli rossi. Quando parla tartaglia e onestamente ora è troppo tardi. Mi sa che dovrà aspettare un altro scrittore.

Tabulé di rose – 2


Papà. Che lavoro fai?
Lavoro per il bene del paese
Di Strazziano intendi?
Certo, tutti qui mi sono debitori di qualche favore
Il tuo lavoro è fare favori?
Più o meno sì
E ti pagano?
Certo
Sempre?
No, non sempre
E se non pagano
La pagano ancora più cara
Li fai pagare di più?
Molto di più
E dopo ti pagano?
Beh, dopo sono morti

Vado in giro per il paese. Ho quindici anni. Sono mora e di pelle chiara. Occhi verdi che quando guardo un ragazzo resta ipnotizzato e fortuna che non nota troppo la bassezza e il troppo seno. O, forse sì. Meglio per lui. È primavera e le zanzare sono un incubo dato che qui fanno una piccola siesta poi te le ritrovi dalle cinque del pomeriggio alle otto di mattina e oltre. Io le attiro tutte.
In primavera tendo anche ad attirare le persone. Soprattutto uomini.
Mangio una mela prima della Messa domenicale. Ci sono tutti. Cani, porci, prostitute e figlie di boss come me. Siamo quelle che devono sostenere l’onore della famiglia più delle altre e dare il buon esempio. Quindi facciamo sesso tra di noi. Dopo la Messa, mentre tutti stanno mangiando dolci e chiacchierando nel giardino di casa nostra ce ne andiamo a fare un giro nel bosco che dà sulla spiaggia e lì ci divertiamo. Comincia Brigitta che ci mostra un fisico da giraffa e le piace essere presa a schiaffi nel posteriore. Poi è la volta di Paolina che è grassa ma ha un viso bellissimo con occhi tipo egiziana e una bocca grande grande che quando ti bacia ti fa sentire divorata e quando ti lecca la senti arrivare dovunque. A me piace soprattutto Restia che è una selvaggia come me, graffia e mordicchia dolcemente e la sua pelle sa di cioccolato amaro o, forse, è solo amara, ma a me piace. Mi scalda immediatamente. Restiamo nascoste nei cespugli di zafferano a drogarci dei nostri sapori mentre ci risuonano ancora le parole del curato alla fine della Messa “Date alle persone ciò che vogliono ricevere e siate aperte a ricevere quello che vi viene dato con amore”. Intanto che ci baciamo la sabbia si mescola ai nostri corpi rotolanti verso il mare che ci accoglie sotto un sole cocente.

Come il bacio per il cioccolato


Una vecchia vestita di grigio e di rosso aspetta che l’amo faccia il suo lavoro in uno stagno vicino a casa. Guarda lo stagno e pensa a quando era giovane che credeva che pescare fosse una cosa da vecchi. Aveva proprio ragione. Specie se si è vecchi e affamati e non ci si può permettere di comprare carne al mercato. E si ha tutto il tempo.
Giusto aspettare che finisca anche quello. E allora pensa ai suoi nipoti lontani e ai suoi morti. Marito, sorella, genitori, amiche e amici. A novant’anni li hai seppelliti quasi tutti, pensa, e spera che questo pesce le permetta di seppellirne anche qualcun altro. In fondo alla fine diventa una gara di resistenza. E un desiderio atroce di farla finita.
Sì perché tanto quella che vince in fondo è la solitudine. Charlie non è d’accordo con lei. Per lui la solitudine è meglio di una moglie. Una compagna fedele sempre pronta a farlo stare bene. E che l’aiuta a realizzare sogni che non s’era neanche mai immaginato di avere. Ecco alla fine Charlie è l’ultimo rimasto da seppellire, poi se ne può anche andare. Anche Charlie le dice la stessa cosa.
Quel pesce lo sta pescando proprio per lui.
Lo ricoprirà di cioccolato fondente e lo congelerà, poi lo tirerà fuori in modo che si scongeli la cioccolata ma non ancora il nucleo e quando lui lo assaggerà beh, sicuramente deciderà di baciarla. S
orride pensando al fatto che o sarà così o farà fuori tutt’e due così non ci saranno né vinti né vincitori, ma semplici morti.

Cimitero rock


Un killer della memoria si sparge come olio su una farfalla araba e a occhi chiusi spira tra le fauci di Odino. Voci di ragazzi implorano il cielo per una rivoluzione silenziosa mentre gli occhi scoppiettano come fuochi artificiali. E il pubblico osanna. Osanna nell’alto del cielo. Un concerto di voci spaccano il fondo di una bottiglia mentre io scoppio a piangere. Il dolore del mondo celebra la propria gloria. Mentre il cuore scoppia di risate allegre e si consola con una palla di chewingum.

Andiamo e vinciamo al suono di una chitarra. Ma andiamo dove? Andiamo e preghiamo una poesia rock.

Evviva Bambi e Babbo Natale.  Fluida energia che scorri dalle mie mani e purifichi la mia anima come acqua benedetta. Un suono d’amore sa di cioccolato.

Rose rosse e cioccolato sono il profumo dell’amore. Un amore rock.

Divino verme che strisci sotto la terra e ti nutri d escrementi putrefatti. Sei il suono silenzioso della natura che lacrima e vive. Tu mangi i morti e vieni mangiato dalle piante che ci nutrono. Senza di te non ci sarei io. Non posso non amarti, anche se mi fai oggettivamente schifo. Ma questo è l’amore. Sangue di lacrime riflesse sull’acqua.

Cimici che scorrono in un pozzo di petrolio che canta un inno nazionale della nazionale di calcio. Forse un giorno potremmo urlare di nuovo Forza Italia.

Al grido di un osanna che ritma una musica tecno io vi saluto vermi della terra che leggete queste divine stronzate e viaggiate con me nei meandri della pazzia.

E ridete piangete e godete e morite e vivete. Nell’immenso gioco di un verme. Col silenzio di un blues balla dentro di noi e ride. Come un pazzo che ci mangia il cervello a uso e consumo del dio dell’infinito. Bevo vino e schiaccio pesci con i piedi.

E mi curo con il ghiaccio dei sensi.

Ed ecco che la luce divina soffoca l’immensità del corno di un rinoceronte alla carica.

Mentre lo guardo mi domando come mai i programmi televisivi della fine del mondo sono finiti. In fondo, chi non si è addormentato la sera prima con quel dubbio solleticante che chissà, forse forse, non si sa mai, e se fosse vero? E se fosse per domani. Perché un giorno la morte arriverà. Ridendo come una pazza. Ma arriverà. E allora siamo, pazzi. Siamo, quello che siamo. E basta. Solo così potremo fregarla. Diventando più pazzi di lei. E di quel verme che mangia. Che ci mangia. E che ci caga. Escrementi di verme siamo. Merda di verme ritorneremo. Ridendo. Sotto la pioggia di un cimitero.

Benvenuti nel delirio.

Benvenuti nel sospiro di un alito di birra.