Una breccia brilla brulla e luminosa


Passo da una montagna incantata a una spazzatura riciclata tra diverse esalazioni di muffa di pecorino con la diarrea. Perché in fondo la dicitura “torno subito” non specifica quando è che le normative europee non lo richiedono con sufficiente accento sul PIL e sul POL che è aumentato considerando anche droga e prostituzione, e magari il traffico di organismi umanoidi modificati geneticamente.
Una musica inossidabile fa breccia nella mia mente di neonato asmatico e ritrovo il polmone d’acciaio che mi permette di urinare in faccia ad un dinosauro zoppo, ma è una bambola di mia sorella. Una musica latente fa breccia nelle mie vene auricolari e mi chiede di essere più produttivo ma senza sottolineare che mi piace sciare. E pisciare.
Volo in una bara splendente e rido nelle nuvole di fumo di marijuana statale che si leva da ciminiere di cani drogati di spine dorsali di elefanti mai nati. E le nevi del kilimangiaro si sciolgono nel bacino di una prostituta che vuole i soldi di uno scudiero gobbo. E flirtano con le acque di scarico di un ospedale di gravidanze indesiderate. Lasciate stare i bambini e non montate le scimmie in una giungla di discariche illegali. Mangio il fumo di una droga rilucente che brilla nel mio cervello. Ed esplode in mille pozzi di fango chimico. Che cola dal mio naso in un fazzoletto griffato. E si addormenta al suono della Turandot. E dolcemente. In silenzio. Muore.

Il vallo endemico di una minigonna zebrata


Il salice di una morte lenta organizza una struttura carceraria di amare parole d’amore. Il succo della libagione forzata gronda di aceto balsamico per una banda di cerbiatti che urinano sul pesce venduto al mercato mattutino ai turisti di uno zoo safari. Il sabato incontinente degenera in pozzi di fogna arrabbiata e il mio cervello è influenzato dalla sguardo torno di toro seduto che mi guarda e pensa alle studentesse in minigonne affumicate. Mentre il grande martello preme il pneuma dell’aforisma contenutistico io mi passo un rasoio tra i capelli e spargo un unguento lento tra le lenzuola del mio pene animale.
Il tutto mentre il palmo del piede si usura nella stitichezza lenta di un leopardo femmina che cammina con una lancia conficcata nel seno. Entro nel mondo endogeno di un lupo mannaro che confonde le equazioni con la coca cola e chiacchiera ad un bar di corvi imperialisti che danzano rap in un pertugio decorato in stile liberty. Definisco quindi, il sapore di una mucca bulimica e mi lascio ammuffire tra scatole di legno pregiato colorato con merda secca ricca di conservanti e ddt. Mentre cammino nella passerella di una montagna incantata mi chiedo se la vita non nasconda oscuri ossobuchi tra i quali ritagliarsi meandri di stracci tra un cuoio capelluto e un hippy fermo alla stazione ferroviaria.
Una grande luce mi porta assieme al vento di una mela marcia mentre osservo culi in minigonna in una biblioteca reale del reame di Boll.
E ti sputo in bocca.
Perché ti amo.
Mio pertugio incosciente.