Un ciodo del ferovecio dela meccanica quantistica


Il vallo marocchino mi inquieta perché non finge di essere una palla turchina. Se non fingi, non sei, gli dico, ma lui non mi ascolta. Anche il lieto fine. Non c’è mai nella realtà, ma è per questo che si mette sempre. E lui mi guarda in silenzio. Mi chiamo Vallo Marocco mi fa fumando un sigaro nero cane, e faccio l’indiano. Il cielo si fa rosso e i miei coglioni si fanno in quattro per accendere un motore tematico che schiaccia le differenze di sesso trans.
Volevo dire solo che due più due non fa solo cinque. In due parole. È la teoria della foglia di fico. Perché anche i fichi cadono dagli alberi. I quali invece prosperano anche senza i fichi. Segui? Insomma anche se sei un gran fico prima o poi scenderai giù dal pero. Ma questo succede a tutti perché siamo tutti teste matte un po’ fuor di cotenna alla milanese. È così che vedo una barca che affonda poi riaffiora perché le gomme di scorta prima o poi vengono a galla come le balle fuori che quelle di Andreotti, quelle no. Perché sono bugie a fin di bene. Cose che non si devono sapere perché sono benedette dalla giuria popolare.
Capito mi hai? Insomma Vallo Marocco mi riguarda, si pulisce i jeans dal pomodoro della pizza alla bolognese e manda giù un grumo di vermi da pesca come dessert. Solo dopo si riallaccia la cintura e parte in moto salutandomi con un peto verde tamarindo.

Spara sorcio


Un’eiaculazione onirica spara al sedicente ferrarista al culmine della gara di lacrime. Lo scroto della vita è un gioco di odio assassino che si esprime tramite la felicità di una lucertola che recita nella commedia dell’arte la parte di Pinocchio. Rettili gioiosi cantano una lirica di Rossini mentre l’orgasmo di un prete circonda la sala Messe e una parrocchia prende il volo per risorgere il terzo giorno. Quando lo spirito santo ricadrà sul midollo spinale della lucertola invertebrata che gioca col tempo pensando che sia un verme di terra che la ama come fosse la sua sposa. O la sua spesa.
Tra i banconi del supermercato vedo un barbone che piange e si dispera e chiede a Dio di farla finita prima possibile ma non c’è verso e deve resistere fino alla fine del mondo.
Un gas sconosciuto attraversa le regioni remote della vestaglia del datore di lavoro che mangia finocchi per scoreggiare meno gas. Il letame della sua anima incrocia gli occhi di un manovale di basso gradimento e il risultato si legge sulla mezzaluna di un cimitero copto 3.0 e via così.
Lo scontro di amicizie si risolve tramite il rituale islamico in un’area di calcio sufi che danzano i danzatori nella paura di una scheggia di morte sotto forma di pantofola sorridente come una cagna assatanata di sangue di giovani vergini. L’odio di una mezzanina contempla il periodo di un pendolo asfissiato di ragù nel torsolo di un tappo di sughero su una bottiglia di stronzi macerati nell’olio piccante. Sempre sia lodato il pendolo di Aladino, sotto forma di jet e sotto forma di siluro di livello Alpha.
Mi addormento in una siesta elettronica dopo aver mangiato spezzatino di pollo alla milanese. E mi inietto una dose di curaro per non sentire più la sofferenza di un topo che si fa la lampada abbronzante. Lo stomaco vuoto reclama il sangue. E la saliva di un vampiro condanna uomini, donne e bambini alla ghigliottina di un severo padre nostro.
Ora andrò a confessarmi con l’animo puro e con le gengive sanguinanti.