Uno struzzo a forma di stronzo


Mi siedo in sella a una falena gorgogliante e prego il dio dei bambini di accedere alle porte di una torta di compleanno per godere dell’amore di una sirena impazzita tra bubble gum e stagioni di ferro rovente che non chiedono che di dare piacere a strali di mignotte frigide. Un cervo volante ci guarda sorridendo a una barzelletta di Zelig e prova piacere a considerare l’insostenibile leggerezza dell’essere tra trombe di froci seghettati di nero e polli da combattimento bolliti nel brodo dei tortellini. E’ vero, quindi, che un combattimento tra leggiadre capinere si realizza solo a cavallo di un capitano dei bersaglieri che nitrisce a ogni orgasmo.
Mi ami o mia Musa da combattimento? È così che si perdono le ancelle a forma di struzzo. Pavoneggiamoci tra un temporale e un tamburo battuto da sciamani fatti di pioggia e fiori di campo. E cosi’ vaneggio in un autunno battente bandiera bianca finché il pianeta smetterà di scorreggiare idrocarburi e metterà fine a un ciclo mestruale che dura da generazioni di allodole e mosche bianche.
Mi batto il petto e mi masturbo un piede. Quando l’orgasmo arriva, sono impreparato e mi metto il preservativo troppo tardi per non restare incinto.

E mi dipingo di blu


E mi sciolgo in una legge elettorale che definisce i limiti dell’assalto alla diligenza. Sacchi di patate vengono messi a dirigere Messe cantate e fiumi di oro liquido e sangue di libertà persa in chiacchiere sul debito fantasma. Un veliero pirata nella notte si aggira furtivo e sagace e libera dalla prua alghe verdi di virus informatico spia. Tra un doppio maggioritario e un ballottaggio di tette del presidente baffuto scommetto che anche il Senato si berrà un the per non morire. Dipingo la faccia di Renzi e mi masturbo davanti a quella di Berlusconi e prego Allah che il netturbino spazzi bene i rifiuti della Repubblica, prima, seconda e anche terza, poi ingraniamo la quarta, ma elettrica.
Giochiamo in un orgasmo tra papa Francesco e i grillini che restituiscono il frutto del loro lavoro, ma quale lavoro? M’impicco nello Ior che parla con una bancarotta fraudolenta e lascio che la SantaChe peschi nel mio lago di struzzi e capinere disinformate. Ave Cesare per la Dora Maltese in un accostaggio forzato nel mar delle sardine sorde che navigano nelle riforme parlamentari senza affogare ma lanciando un urlo disperato che gli elettori sordi non raccolgono e così i Maro’ moriranno. All’interno di una pena capitale che scarica elettricità vengono accusati di un pirataggio dei pirati maltesi e giustiziati con una escort indiana dopo due anni di kamasutra sfrenato in cima alla torre di Pisa.

Il bagno del toporagno


Nella tundra di un semi pazzo urlante mi libero della vulva capillare e rintuzzo gli attacchi di un sedicente gigolo. Cotasti mio caro, cotasti e calmati da quella bava altisonante che fruga negli artigli di un corvo le tempeste di colla che si attaccano alle mascelle di un conte della montagna incantata per fare magie ricurvo su un ramo secco nella notte dei tempi. Mi masturbo nella segola di una pianta argentata ricca di gemme e di escrementi di toporagno con l’alito fetido. Un rombo di aeroplano stellare distrugge le emozioni di un orgasmo a cinque stelle per portare in parlamento un barboncino seguito da mille sgombri.
È così che fumo una sigaretta di cavolfiore: per immaginarmi la protuberanza di un bosone sanguinario in mezzo a genti in mezzo al traffico che pensa a come fare sesso con la diga di un frutto di bosco balsamico in padella. È così che ritiro l’arrosto dal forno. Con barbabietole ridenti e giocose che gli danzano intorno per sedurlo e canzonarlo. Il salvagente di un popolo non si misura in monete di bisonte polare. Ma con la luce degli occhi che sprizzano sperma in mezzo alla folla vetusta.
Ecco come fare la rivoluzione. Basta che la non violenza diventi una forma di pazzia e liberi le corde del cemento armato che lega le fronti insieme a una vocale e una consonante. Nel muto silenzio ascoltiamo il suono di Dio in amore. Che ingravida anime di fumo in forno a preghiere che si levano alte e poi cadono tra gridolini soddisfatti.

Quando il gallo salta due volte


Nella prateria si erge una statua che urla ai passanti una frase dipinta nell’agnello di un’auto bianca. Una rosa bislacca si sparge il rossetto su labbra paesane insieme a briciole di pane azzimo in camicia nera rosso fuoco.
Spargo si mette una tuta bianca in segno d’amore per una pulzella in calore che festeggia una putrida sensualità coniugale insieme alla moglie Tristana che si pulisce i lunghi capelli neri con la saliva di un castoro guercio.
Una capra affonda le sue mani in trincee d’amore al suono di una cornamusa in fiore e io prego la fanciulla in bianco di seminare le sue uova tra sfoglie di frumento imbrattato di catrame e poliprobilene di butano mefitico.
Mi sfrego le mani in segno di approvazione per il contorno di sesso tra seni ruvidi e capezzoli che sembrano plastica e mi masturbo in preghiera alla Vergine del manicomio in cui ritrovo conigli e pescivendoli che mi salutano e sono contenti di rivedermi.

Un’ostia val bene un pugno in faccia


I nervi saltano come corde di una chitarra di burro al canto di un usignolo epilettico. Ecco che vola nel cielo azzurro. Ecco che muore nel cielo azzurro. Ecco. Esplode. Di birra e vodka.
Un usignolo russo che sfreccia nella metropolitana moscovita.

Prendo in mano la musica di una felicità sconosciuta. Mi metto un naso in ammollo per un minuto quantico.
Fratello sole e sorella luna e puttana. Ti schianti contro un toro in calore senza reggiseno né peli sulla lingua. Senza brandelli di cervello infuocato di traverso a uno steccato dove si appende la biancheria di un ranch attaccato dai coyotes indiani.
Insediati in una discoteca si muovono sinuosamente in gruppi di sciacalli e saltano da una droga all’altra mentre il sole gli cuoce il cervello e la polvere di coca del deserto gli entra dalle narici e va direttamente a contatto con le feci fermentate in gola tra cancri e duodeni a forma di salsiccia.

Erotico blues ti muovi e fai muovere un opossum fumato tra un manga mal digerito da un ranger in cerca di cacciatori di taglie ritagliate da un giornale delle giovani marmotte.

Mi masturbo con un elastico e viaggio nell’universo con la facilità di un orso bianco, mentre l’insonnia mi divora la cervice e l’alcol mi nutre lo spirito santo di un vaso di vino giovane e bello come Penelope che adescava i Proci promettendosi a ciascuno di loro.

Odo la voce di un canale episcopato. Genera calore nella radice delle corna. Arturo si fida. E si butta a capofitto nel nuovo lavoro. Deve ricoprire la Nigeria di sperma di gallo nero. Ha tutta la vita davanti. Può farcela anche facendo attività di controspionaggio pregando Dio che lo benedica in un coro di angeli che non siano gay.