Un atto ecumenico fossilizza il rutto del topo, mentre cozza contro il colpo di tosse della Terra col raffreddore. Mi guardo allo specchio e mi si bagna la vagina nell’antro di Eolo. Ballo un ballo frenetico sul tavolo mentre m’infilo pistacchi nel culo e il bruciore di una banana si sparge nello sfintere. Spargo escrementi sullo schermo televisivo e il dolore della passione esplode le mie lacrime e continuo a ballare e continuo a girare e ululo. Mi guardo i capelli da adolescente e mi chiedo se un giorno balleranno da soli.
Angeli e paradisi sorridono ad una Terra di terra e fame e una donna chiede lavoro per mangiare finocchi all’inferno. Guardo l’orologio e penso che devo lavare il fango sceso sulla mia pelle e sui peli del pube. I miei capelli lunghi accarezzano il mio seno e eccitano l’anima sotto di essi. La mia pelle risponde con elettricità e io viaggio in carrozze alate verso monti scoscesi su mari limpidi.
Un pagliaccio che ride stura un lavandino di pongo e marmellata mi dice che sono una troia e gli dico che ha ragione ma che a lui non la darò mai. Prego in ginocchio lo Spirito Santo di godere degli ultimi giorni di Sodoma e Gomorra affinché il Paradiso sogni baccanali di zuppa di ceci e lenticchie zuccherate allo zenzero.
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Il compagno di scuola
Bomba o non bomba mi travesto da vello dorato dopo aver sconfitto gli arcangeli che scendono e salgono nelle scale di marmellata alle prugne. In un sottofondo di urla da baccanti, Valentina si sfiora leggera e solletica la propria voglia di cantare le lodi del Signore con un orgasmo in suo onore.
Respira in una damigiana di petali di rosa nera per trasformare il mare in libellula sofferta. Quell’attimo di dolore e sapore di spremuta la porta a dipingere la faccia di una maschera veneziana in cima al monte degli dei bevendo un caffè.
Dipinge il giorno dopo un compagno di merende che mangia con la bocca dentro alla pasta ed emerge solo quando il sugo gli ha dipinto tutta la faccia fino ai capelli e non si accorge che quello è il suo sangue e che da lì a poco morirà. Ricorda quella scena e pensa che la venderà a caro prezzo.
Poi studia per il proprio esame di diritto che è domani. Si legge le domande che le ha passato stanotte il professore. Ieri le aveva allungato una mano in ufficio mentre lei pensava che non c’è ragione di fare le cose difficili quando si possono fare facili.
Chillout
Chillout si distende mangiando una mela in un frattale di marmellata di marionette seducenti mentre la voglia di caffelatte gli attanaglia lo spirito a spirale e lo porta in un tunnel metropolitano per confessare le sue golosità di sodomita. In alto dei cieli un cancello si apre per entrare nella quinta dimensione di una patata al forno. Soffice e imburrata si scioglie nel palato di dei della golosità itinerante.
Chillout si mangia un dente e pensa ai cavoli amari.
Cillout si distende sul letto e balla una musica sincopata pensando di sposarla e fare bambini.
Lei è soffice come una patata al forno, pensa, lei è unica come un diamante grande un cranio, lei. Lei la vuole mangiare pezzo a pezzo fino a riempirsi la bocca del suo profumo di fiore e lo stomaco fino ad avere la nausea dei suoi capelli ricchi di silicio che fa bene alla pelle.
Chillout si masturba ballando una musica sincopata da sdraiato. Nel soffitto ha disegnato Gesù che si masturba anche lui. E anche Maria si masturba anche lei.
È bello, pensa, che madre e figlio si masturbino senza pudore tutti i giorni davanti a me. E viene, ballando sincopato. A letto.
Chillout my friend.
È contento, Chillout, di essere un vagabondo della quinta dimensione e di varcare il cancello con scritto sopra LSD.
Chillout si avvia lentamente al cimitero degli elefanti come una lasagna si avvia verso il forno. Con la stessa speranza di essere digerito senza dolore e senza paura.
E muore.
Marmellata di prugne
In una cannonata Iago perse una gamba. Svolazzò via che sembrava un palloncino per i bambini e lui, prima di sentire il dolore, stette a guardarla volare ricordandosi quando da bambino faceva volare gli aquiloni. La sua gamba. Che roteava. Poi sentì il dolore.
Un bruciore da far fondere il cervello come marmellata e quell’imbecille (di cervello) non staccava la spina. Non lo faceva svenire, no. Fino in fondo gliela faceva godere. Quando passò la croce rossa delirava, ma i combattimenti continuavano e lui non sentiva più suoni, sentiva freddo. Si stava svuotando come una damigiana di vino rosso. Con le vene che sembravano autostrade che finiscono nel vuoto. Mentre lo rammendavano alla meno peggio sperava veramente di lasciarci la pelle dato che comunque la vita non sarebbe più stata nemmeno lontanamente decente. Diciamocela chiaro, nella guerra all’Iran c’era voluto andare di suo. Spirito patriottico e riga. E soldi. Ma non solo. Anche spirito patriottico. Volato via in una nuvole di spruzzi. Ora sì che la cosa si faceva interessante. Avrebbe giocato a poker con Dio, il premio, la morte. Ma se Dio non ci fosse stato allora sì che gli avrebbe fatto del male. Gli avrebbe sconquassato paradisi e inferni e quinte e seste dimensioni. Gli avrebbe spappolato la gamba anche a lui, così vede com’è restare senza una. Ma avrebbe vinto. Era sicuro.
Con tutto quel po’ di sangue che gli rimaneva in corpo approfittò di una distrazione dell’infermiere mentre l’ambulanza correva tra le bombe e lo sballottava di qua e di là e gli sparò. Un’ultima cartuccia. E si sparò. Cioè, forse non c’era bisogno di far fuori l’infermiere, pensò due secondi prima. Ma va beh era venuta così. Non c’era tanto da pensarci più.
Ok Dio ho barato, ma non sto certo a fidarmi di te. Poi la pallottola attraversò la scatola cranica, da tempia a tempia. Un attimo, ma una distorsione del tempo gli fece ricordare un cioccolato al limone che aveva mangiato con suo fratello Giangiacomo il giorno del matrimonio (di Giangiacomo). Quel sapore gli esplose in bocca, che se lo sapeva prima, mica ci pensava tanto a spararsi.
Mangio un mango sfittico ed eticamente scorretto
Mangio leccornie di scarpe verdi con suole cosparse di burro e marmellata di scorie radioattive che scoppiettano mentre soffriggono e soffrono di ernia genitale.
Il gallo ride due volte e la piattola si siede sullo sperma di un cane che puzza di acido muriatico
Cristo si fermo’ a Eboli poi non fu più capace di fumarsi una sigaretta in santa pace adorando il dio delle scarpe rotte dato che non ne aveva più di aggiustate e s’era fermato per ripararle.
Asfittico infinito essere di terrore che dici di essere una crosta di lucertola, cerca di essere più zuccherato di una banana per considerare il gesticolio di Chierico che ride davanti a una scena di sangue infetto.
Riprendi la lotta e insanguina il lavello mentre scendi da una scala di croste di formiche e pisci su una televisione digitale che merita il trattamento lento e ti arrampichi su un marciapiede di cioccolato fondente. E ti vede il pazzo che ride. E ride. E piange. Di gioia. E di gambe rotte. Forse all’ospedale riderà meno, ma no, macché, ride più di prima mentre lo operano, nonostante l’anestesia da cavallo.