Un pene circolante vanifica sforzi di gabinetto eiaculanti in base al principio di probabilità di Thomas Jefferson di doctor House che invia stucchi di resina sintetica a carte geografiche fatte da google map. Perdio e per la madonna di un tricheco che nuota nelle acque della fogna di Calcutta, la più inquinata al mondo dopo l’acqua Perrier.
Da questo si evince che la cliniqua Montesquier ciuccia una banana con una cannuccia sifilitica e si rivolge a me con sorpresa chiedendosi perché la tosse non colpisce solo le canne di bambù ma anche le canne di marijuana. Ora, io dico e spero che una epidemia globale di gonossera non cambi l’idea che abbiamo del mondo, che in fondo anche le tossine di cannabis hanno il diritto d’incazzarsi a modo loro come le formiche di un tempo lontano e non sospetto. Poi il tempo è relativo allo spazio che è curvo come la gobba di Andreotti. Chissà se Einstein lo conosceva. Sicuramente sì. Altrimenti il Nobel mica lo vinceva.
Consideriamo che il digiuno di un Mastrocarno non influenza la banca dati php ma non è grave, in fondo anche noi troviamo porci in filosofia e non badiamo alle tangenti di un Expo 2000 che inaugura il secolo dell’alimentazione per quelli che non possono permettersela. Anceh la mafia vuole la sua parte in un progetto faraonico e divino al quale anche Obama non potrà che inchinarsi e quindi andiamo a casa per respirare un boccone di libertà superiore a quella che respiriamo nelle nostre gabbie elettroniche fatte per ombre di umani o per trasformare umani in ombra elettrica.
Mi gratto la pancia e erutto una penna che avevo rubato a un poliziotto durante la pennichella dopopranzo. Chiudo gli occhi e penso di morire per un po’, un attimo almeno. Un mattino di settembre.
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Libero
Veglio sul principe azzurro e mi ficco in ammollo severando una pigna colada di traverso al collo di un dattero butterato. In realtà tutto questo per dire che il giorno prima del fine settimana, ti ricorda la schiavitù perché sta per finire e per un paio di giorni sarai umano.
Poi tornerai soldato, robot, ingranaggio e poi altri due giorni di umanità, poi anche un po’ in ferie e poi tieni duro così per qualche decennio.
Se non ti va sei libero di morire di fame e non riprodurti. Oppure di riprodurti e morire di fame. O di riprodurti e far morire tutti di fame. Insomma sei un uomo libero perché puoi scegliere. Ma non solo.
Sei anche libero di diventare sempre più povero per costringere altri a diventare sempre più ricchi.
E questa è la cosa più bella, più generosa, più cristiana.
E di questo bisogna essere contenti. Contenti di dare, col sacrificio di sé, il meglio della vita ad altri. Perdonandoli, come Cristo, perché non sanno quello che fanno. Non sanno quanto è bello dare senza aspettarsi di ricevere altro che un calcio in culo e qualche psicofarmaco che ti permetta di robotizzarti meglio.
Come usavano a Cuba al tempo degli zombie. Schiavi trattati con droghe che annullavano la loro volontà. In fondo la storia si ripete.
Sempre diversa, sempre uguale, perché come dice qualcuno “in fondo è sempre la nostra storia”.
E allora andiamo a casa, ma prima fermiamoci a ubriacarci con uno Spritz e fumare un po’ di nicotina per uccidere quella disciplina robotica e ridiventare un po’ quell’animale ingabbiato. Poi andiamo a casa, ma prima andiamo a puttane per scendere giù nel fondo dell’oceano animale e ritrovare le nostre pinne che ci permettano di nuotare in un’umanità che ci fa quasi più paura della grande macchina ardente. Che ci porterà un giorno a conoscere altre specie aliene. Chissà se a loro piacerà la coca cola? Chissà se anche loro aspettano il fine settimana per diventare un po’ più alieni? Chissà se anche loro hanno le puttane. E i gay. E i terroristi islamici. E la mafia. Ma mettiamo che non abbiano o non gli piaccia la pizza. Come la mettiamo?
Che ci ficchiamo in ammollo un sardo in scatola e civettiamo nei pantaloni col bisturi in mano e ci grattiamo contro una transenna mentre il cibo elettronico squilla nelle nostre tasche per avvisarci che altri zombie ci stanno raggiungendo per diventare esseri umani, ma solo per poco e il meno possibile, altrimenti il lunedì finisce che è da suicidio e allora ci prenderemo un altro prozac.
Succo di pomodoro e basilico
Ora Giustino si ritrova a correre con una sedia in mano per salvare almeno qualcosa dall’incendio del suo ristorante. Sta cercando di portare fuori anche il frigorifero e la carne buttata lì sul marciapiede tanto poi si laverà e intanto le fiamme mangiano metro dopo metro e il fumo distrugge anni di lavoro e di risotto. Ma ora non c’è tempo. Non può pensare a ricominciare e non si ricorda se ha pagato l’ultima rata dell’assicurazione. Ora sta portando fuori un cameriere quasi in coma dalla tosse e una cliente bionda con i capelli in fuoco e la pelliccia piena di pomodoro. Mentre la sua camicia bianca sembra un colabrodo cerca di asciugarsi anche le lacrime che sgorgano da un disastro annunciato. Quella bombola di gas andava, andava cambiata. Ma forse non era stata la bombola. Da quando si era rifiutato di pagare la tangente alla mafia era stato avvertito. Ora che guardava da fuori vedeva che stranamente il fuoco si era spento prima di distruggere tutto e forse, forse permettergli di ricominciare, pagando, ma di ricominciare. Ma no, non avrebbe ricominciato per dare tutto a dei cani.
Un mese dopo puntuali come la morte arrivarono.
“Ciao Giustino, mi spiace per l’incendio”
“Dimmi che vuoi e lasciami in pace”
“Lo sai cosa voglio”
“Lo sai cosa avrai, no?”
“Giustino, ascolta, hai una famiglia”
“Appunto che mantengo a malapena, se pago voi chiudo”
“Non puoi non pagare, tutti pagano”
“Allora va’ da tutti”
“Giustino, io sono tuo amico”
“Allora ascolta. Tu non sei mai stato mio amico, lo sei ora perché devi fare l’esattore. Se no tanti saluti. Comunque ora guarda qui”
“E’ una pistola, scherzi?”
“Guarda te lo spiego subito”
Gli sparò a una spalla, così, senza tante storie, ma senza ammazzarlo, non si ammazza per così poco. Forse l’avrebbero ucciso. Forse no. Anzi si’.
“Sei pazzo Giustino, ti ammazzeranno”
“Lo so, lo so. Ma se non sgommi in tre secondi morirai prima tu”
“Pazzo, pazzo”
“Ciao Amerigo. Ciao, saluta a casa da parte mia, mi raccomando”
Se ne andò. E lui prese il treno e se ne andò in campagna. Quant’era fresca l’aria e caldi i raggi di sole. Che strano. Queste cose le vedeva da giovane. Era da almeno vent’anni che non ci faceva più caso. Ma se non fai caso a queste cose come puoi dire che vivi. No, non è vita. E non è niente. E per chi e cosa era morto? Sua moglie non vedeva l’ora di divorziare e avrebbe passato la vita a passarle alimenti. Allora sia che c’è? Perché un’esistenza da schiavo invece che una vita. Una sola. Quel poco che resta. A fare il cuoco da qualche parte. Che in fondo il ristorante l’aveva aperto perché era un bravo cuoco. Aveva voluto fare il manager, ma sai che rogne, poi? Se ne andava a fare il cuoco italiano da qualche parte, in Russia, poi in Giappone, perché no?
Non scese dal treno, non andò a casa a prendere i suoi affari, troppo pericoloso e troppe cose da spiegare. Una telefonata al figlio ogni tanto, ma era già grande, poteva prendere l’aereo per andare a trovarlo.
E allora via. Verso la libertà. Da quanti decenni. Da quant’eternità. Anzi, perché darsi la pena di scendere dal treno, poi? Tanto il vagone ristorante c’era da qualche parte e anche qualche cuccetta. E allora ciao. Ciao amore. Ciao terra. Ciao mafia. Ciao a tutti. Di cuore. Giustino.