Nella faccia del delirio


Una faccia si gira dall’altra parte mentre i miei sogni spariscono nella nebbia della mattina che con l’avorio in bocca impone ai fantasmi della notte di uscire dalla finestra e li sostituisce con altri di un mondo legato alla terra. Tra piccioni e pipistrelli vestiti da festa in maschera ammazziamo la rustica comodità di un letto caldo con quella pungente di vento gelido e camminiamo tra polveri pesanti e camion autostradali tra pezzi di piombo e panifici che vendono quello che hanno prodotto durante la notte.
Un cane guaisce e un barbone perisce nel cammino verso il posto di lavoro. Insieme a una vecchietta incipiente che mostra al nipote come il cane fa i suoi bisogni e i piccioni mangiano le briciole e la riproduzione si rimescola insieme alle cipolle del soffritto in un brodo primordiale tra galassie che stanno sparendo come i fantasmi della notte nella nebbia mattutina che ha l’oro in bocca e il piombo nei polmoni.
È così che libero la mia immaginazione tra le budella terrene e propongo l’utopia del delirio a lestofanti mugnai e lesbiche androidi di generazioni di tessuti adiacenti che si coprono con coperte della nuova e vecchia Zelanda sognando un osceno pacifico che muggisce onde scatenate e ricopre gli atolli di atomi di pastafrolla meneghina.
Prego. Avanti tu che io non posso.