Accarezzati lo spermatozìo


Settecentosette più tredici morti cantano una vittoria sulla campana che suona a morto nella valle di un campo di zingari drogati di sesso all’aria aperta in una comunità di S. Tarchignano sulla vetta del Colle insieme a Napolitano. Che quando muore finisce l’Italia con tutti i filistei al rabarbaro. Anche la Gillette ha una quotazione tra le stalle dell’inferno. Se ci fosse veleno nelle sue lamette saremmo tutti morti. E i polli riderebbero a squarciagola.
Dov’è finito Tonino? Era simpatico quando non azzeccava un congiuntivo. Ma che dico, manco la punteggiatura. Il nostro parlamento è sempre ben dotato di rutti liberi. E le stelle in fondo, sono tante, milioni di milioni. Di dollari sonanti. In tasca alle regioni di una lega nord morta dal ridere per un federalismo che ha ingrassato i maiali e ammazzato i polli.
Bisogna fare Tesoro degli errori passati e continuare a ripeterli. Voliamo su paradisi fiscali e consumiamo ostie dei piedi di Maradona. Per un negozio in cima alle scale dove vendere ciabatte e telefoni di una volta. In cima a una torre. Da cui buttarsi insieme a Icaro, ma in fondo che fine ha fatto Minosse in tutto questo? Morto di vecchiaia? O perso nel labirinto della vergogna insieme a un Grillo parlante che conquista un’armata Brancaleone in preda a manie fiscali di compulsivi spermatozoi alla ricerca di una boccata d’aria.
Ma con qualcosa dobbiamo pure pulirci i denti, no?

L’immagine di una lacrima


Il genocidio della poesia s’ingegna sulla misura della primavera per capire la guerra delle api. Si’, davvero arriva alla giustizia della politica Andreotti s’immolo’ sulla Costituzione perché aveva bisogno di una regola per masturbarla fino a ridere a crepapelle. E’ cosi’ che ha amato l’Italia. Ho paura. Ho paura della fine. Forse vivro’, ma la fine arriverà prima della morte. Perché la fine è antecedente. Anche il divo Giulio era antecedente. E cosi’ vinse la fine, morendo dopo. Ma diventando Papa. Divento una custodia dell’arte per essere prigioniero del sesso giocando a calcio in una comunità di maestre che uccidono la poesia guardandosi allo specchio. Una lacrima scende da un nesso che collega il rumore dei bambini e il corpo dei pompieri che fa un pompino alla pompa dell’anima, dall’interno. Pensiamoci. Perché la poesia abbraccia il papa come un handicappato. Ed è cosi’ che io la ricordo, pregando alla fine di una chiesa.
Non è vero che non c’entra. C’entra. Per chi crede tutto c’entra, c’entra ed è cieco, questo è il re. Questo è il re dei non vedenti che non vede perché è lui che non vede. Io mi concentro, ma non capisco. E allora applaudiamo. Perché non siamo ciechi. Ridiamo e vediamo l’immagine di noi stessi riflessi nelle labbra di una lacrima che scende senza fede. Ora è mezzanotte. Testimonio che ho visto uno che osserva un tempo che non c’è in un’isola che non ha alibi per non esistere, ma c’è. Io no. Non ancora. E ci saro’ quando esistero’. Ma prendo decisioni. Collegando i nessi tra i cani e i ciechi.