Una buona scodella di vermi fritti, ma piangenti


Turgida fillossera che ti arrampichi su pali di legno per mangiarne l’anima e ti sposti lentamente col vento delle campagne illuminate da Dio. Tu che godi nell’attaccarti a chi puoi succhiare. Bevi un sorso di gin per morire ogni giorno di più in un radon nucleare e tecnicamente attivo. Solo così sprizzi pannelli di sole davanti ai tuoi occhi. Riflettono la tua sincerità e corrono per sentieri tortuosi. Vermi che piangono friggendo su rose a stelo lungo che regalo alla mia fidanzata nel giorno del suo matrimonio.
Vuoi tu? Sì. E tu? Sì. E allora. Ok. Finché morte. Che palla. Perché sì. Perché ricordarla proprio lì? E allora mentre la baciavo le ho messo la mano sulla patonza affinché tutti vedessero di cosa si tratta. Dopodiché ho continuato la festa con un durello impazzito che sente l’odore delle invitate e degli invitati.
Mi gratto un seno dolorante dopo orge sataniche con animali feroci che ballano e ruttano in tende improvvisate nel corso del Po. Nel corso del tempo una folata d’aria fresca mi disintossica la bocca che sa di aglio fresco e uva maleodorante che stinge in un mosto di corda da impiccato. Il velo uncinato si dispiega sul mio viso e sul tuo e ci porta in un carro armato per volare insieme nel paradiso degli inferi infernali.
Capiscimi tu? Amico di stagno? Sì, tu capire, cosa, non vale. Mai più di tanto. Ma comunque. Fesso, se no non so. Antani. Sbiriguda dela supercazzola. Se no non so. Quindi svengo.