Merluzzi improvvisati


Un sapore acido di giallo limone mi attraversa le vene e parla di Dio a un’Elettra confusa per la morte del padre. Le Erinni danzano in coro e vogliono sangue per placare la loro sete di vendetta in mezzo a tori scatenati. Mi ricordo delle canzoni psicadeliche che ci iniettavamo in vena ai concerti rock. Un rock di passaggio che ha marcato a fuoco mezzo secolo di umanità così  come si marcano i buoi. Truppe di spazzatura che si muove agli ordini di atomi di merda dagli effluvi che fanno cadere i denti di un lupo che cerca il suo cibo in mezzo all’artico.

Nel brodo galattico nuoto in mezzo a grani di uva passa per odorare un circuito di formula uno e piangere solo perché hai cercato di scalare una partita di poker. Vuoi giocare alle mie regole. È un bel gioco. Quando si perde si cambia dimensione. Quando si vince si diventa sempre più simili a minerali. Desideriamo crogiolarci sulla sabbia di una spiaggia di un atollo nel pacifico e amarci senza granchi o meduse. Ma soprattutto in un mappamondo di diamanti che risplende e riflette la nostra saliva orgasmica.

Il fratello di Pinocchio mi parla e mi chiede uno stuzzicadenti in inox. Trovo che dovrebbe radersi ogni tanto che sembra un terrorista islamico. Gli cucio una giacca di pelle di asina e la imbottisco di piume di struzzo e sterco secco di pavone. “È la giacca più impermeabile che abbia mai avuto, grazie” mi fa mangiandosi un biscotto di marijuana insanguinato nella tazza che contiene le gengive di uno che è morto ieri di dissenteria acuta. Pesava centosei chili quando ha smesso di respirare ed è morto sulla tazza del bagno. Solo che ha continuato a defecare e l’hanno trovato solo per il tanfo che emanava il bagno. Una volta nella bara ne pesava quarantasei. “Ciao, alla prossima” mi fa il fratello di Pinocchio e si dimentica lo stuzzicadenti che nel frattempo è diventato d’oro.

 

Parigi ma belle


Una lirica insegna a non gareggiare in un mondo di sensualità apparente. Ridi pazzo. Ridi sberla in faccia. Piangi di lacrime calde e salate.
In un deserto di granchi e conchiglie il verme butterato beve una birra alla spina senza pensare che questa sarà l’ultima della sua vita prima di venir calpestato da una jeep di zoo safari.
Afferro il sonno con una mano e il vermiglio colore della poesia con l’altra e me li spalmo sul cuoio capelluto in una mistica unione col divino piacere di un pozzo di sale e salsedine che sa di vongole al pomodoro.
Il muro dell’ufficio si appanna e appaiono animali invertebrati alla ricerca di un flusso di tamburi che battono il ritmo del futuro con addosso una maglia della Ferrari. Il sonno prende possesso delle unghie delle mie mani e proietta ostie benedette sul sacrato di una chiesa consacrata dal papa Merlino durante la Messa di Natale.
L’ultimo Natale dell’umanità.
Poi l’ultimo viaggio nello spazio.
Là dove zanzare giganti attaccano iosfere per saccheggiare le miniere di anime latranti che vogliono abbronzarsi in una città sospesa nella mente di un nano che lavora come presidente degli Stati Rincoglioniti della Pangeria.
I duroni girano e rigirano su se stessi fino a formare centri di gravità permanenti e rallentare il tempo in diverse città dell’universo roso dalla collera di un gatto delle nevi che non trova cibo da una settimana. E azzanna un orso bruno nelle sue stesse condizioni. Se morirà che sia combattendo.

Cogito ergo escogito


Girando escogito placidamente code di volpi argentate nella lunga pelosa giungla di corredi matrimoniali cuneiformi. Senso. Di cappotto acerula che s’avvinghia e dipinge multiformi ancelle di un dio a forma di piede. Leggerezza e santità chiuse in un chiostro si saldano sulla via di Medina, là dove lo schiavo arabo prega in tibetano cistercense. Pannocchia grigio ferrea ti scolpisci azzurra nella vigna della S. Maria Capo a Vetere. Trimezzana nascosta si spende nell’aquitrino palumbro e scontroso. Esse camminava sinuosamente nella vetta del ciel d’agosto. Sottane svolazzanti e tacchi a spillo. Ed esplode sotto i garofani e i tulipani splendenti. Soli e felici ci baciavamo tra granchi e pietre nella luna sfoggiante mille rivoli di iodio. Trafitto da mille frittate mi affliggo onesto e impietrito davanti a petulanti pentole gasate di vin santo e benedicente. Lauro si masturba mentre ride davanti a comici cornuti di bolscevici animali della prateria. Dopo si stira le camicie che il David di Donatello garrisce di sabbia incolta ed eterea.

Mentre raccolgo le spighe di una mamma furibonda, gli esseni accontentano una dolce figura dipinta in mezzo a mille occhi di nocciola e riso grezzo.

Schizza petrolio da seni rubicondi.

Schizza paura da animi inquieti.

Spazza giocoso seminando il pastore.

E giro in tondo attorno al castello di sabbia e ricordi poderosi esplorando la coscia di Elisabetta troiana al pisello.

Uggioso benedico il capitello di punta Iolana che scroscia lentamente su cime tempestose e gronda di ascelle terrene la ridda di granchi che si sgranocchiano per un tozzo di pane.

Pane di panna che si asciuga e rotola in un fil di rame disciolto in una stazione adiacente.