Cambio marcia in un’ironia elettromagnetica. Il sangue dei vinti scorre a piene mani e io mi faccio la manicure recitando una preghiera. Ave Giove che hai mandato Odino in barba a Zeus e insieme si sono leccati la figa. E noi abbiamo combattuto la battaglia dello shopping Natalizio per le vie maestre che ci hai mostrato tramite l’illuminazione dei lampioni. Ave cugino che passi per la mia casa e scorreggi a più non posso dopo una cipollata di fagioli. E ave a te Vergine della danza che monti i cavalli all’aria aperta di via Monte Napoleone. Negozi sfarzosi ammiccano alle fotomodelle e le abbracciano in una morsa letale. Succhiano il sangue e restano ad aspettare la prossima vittima. Ragni della moda sempre vigili e pronti ad una partitina a poker.
Mentre leggiamo scivoliamo su carote che ridono a crepapelle su mozzarelle in carrozza che cavalcano capresi imbufalite. Crediamo di rovistare tra falene che nuotano e pantegane che volano in mezzo alle nostre pupille fatte di spazzatura antiatomica. E troviamo solo zanzare impaurite che si erano nascoste tra il tartaro e le gengive di Gengis Khan.
Il punto è: Moana Pozzi fa parte degli archetipi junghiani?
Tutto si risolve in una melassa di cioccolato. Truccunidda si scioglie in uno scherzo allegretto andante ma mica troppo e svuota lo stomaco di lattine di coca cola accumulatesi nel corso dei suoi trecentotrentatré anni di pettegolezzi e maldicenze. Mi sdraio su una lattuga di marionette e mi dissolvo nell’etere radiotelevisivo. Appaio in spettacoli di cabaret e documentari sui cinghiali poliformi.
E applaudo il pubblico. Che scappa dalle sue pene.
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Balla per me. Balla sopra un tesoro cristallino. Balla in un orgasmo selvatico
Morte che baci il tesoro della castità. Vieni a pregare e a scopare con noi. Dentro una botte di schizofrenia e gas intestinale. Vieni con noi a divertirti per recuperare le forze dopo una lunga malattia. Uno schiaffo si amplifica nell’eco spaziale di una lavastoviglie che sta finendo il ciclo di cottura a freddo. Tra Martina e Ruggero non era mai scorso buon sangue e s’erano sposati proprio per odiarsi meglio. Tra tamburi che lavano i piatti e sigarette che colano sangue il loro amore era rimasto inossidabile e la loro famiglia cresceva tra botti di vino diventato aceto e ammassi di pietra colorata di rosso e profumata di tango argentino.
Fin dal primo mattino si prendevano a schiaffi e a sera andavano a letto con gli occhi gonfi di tanto in tanto si violentavano a vicenda e la cosa rendeva il rapporto più succulento.
Poi un giorno il cioccolato si fuse e inondò la cucina e Martina rischiò di annegare. Ruggero non esitò un istante e invece di salvarla la spinse più giù. E tutto finì in pace. Così com’era cominciato, ma la polizia non riuscì mai a convincersi del fatto che una possa annegare in una pentola di cioccolato caldo.
I loro figli piansero e al funerale si tirarono frecce avvelenate uccidendo la metà del gruppo funerario ossequiante tra cui l’odiato direttore di Ruggero.
Un cane bastonato si spara ad un occhio per attraversare il guado dell’inferno dantesco.
Una foglia secca si masturba davanti alla propria terrazza un sabato pomeriggio tra l’indifferenza dei passanti.
Una tromba suona danze ipnotiche e sfoglia giornali di ferragosto. Sabbie mobili che circolano attorno al collo di una giraffa color arlecchino. Con una cravatta lunga tre ore luce.
Un acrobata di circo atterra su una bambagia tra cori di donne che saltano tra muschi e licheni in mezzo a rocche cristalline color rosso corallo. Un sabba sulla spiaggia nera scopre un fungo atomico. Giove osserva dalla Luna la pazzia umana. E si scalda le mani. Prima di iniziare un’orgia con le baccanti.