Ma in fondo…?


Cara Ninina morire d’inverno non è un gran che. Una misura di tè che non calza al mio piede. Uno zoccolo duro d’elefante che struscia la vagina contro un albero del tè. Per sacralizzare una cerimonia che dista mille chilometri di asia e inferno. Una castagna circoncisa mi sposta da una parete all’altra per assaporare la ghisa che pende dalle mie labbra sensuali di pantegana suadente. Così voglio essere ricordata ai posteri, come un’ardua sentenza. Forse sbaglio?
Un protocollo di pagine di frusta scende dal cielo con la manna degli ebrei e rotola verso fiumi d’inchiostro per mostrare la retta via al dio della pagina bianca. Che in fondo non si scompone e mostra il fianco a diverse interpretazioni. Una coccinella si innamora di un bue e spara fuori il minitauro, un toro con le ali di farfalla, ma che quando si fa una sega fa piovere per una settimana. La chiamano “manna dal cielo” e se la mangiano tutti quando fanno un crociera nel mar rosso.
Un atavico senso della paura pervade la schiena di un topo di appartamento finché non si trova faccia a faccia con uno squalo tigre che gli chiede una penna per disegnarsi un paio di baffi come dio comanda. È così che diventano amici per le palle e partoriscono conigli di serra bonsai che ridono a ogni barzelletta che gli racconta berlusconi. Una tragedia greca si abbatte su questo mare di salmoni che piangono dalla gioia di un impatto con la topa morta di salsa ketchup e pantegane puttane.
Ma in fondo quale può essere il trend ascendente di un morto?

Il clavicembalo monocorde


In un grigio fetore di sabbia gli ultrasuoni mi trapassano la minestra di salsedine neuronica e mi nutro di cibo nucleare senza pinoli.
Davanti a me un pino storto che soffre di priapismo circolare si chiede se l’ascesi al cielo dipenda da una meringa al cioccolato amaro. Rincorro una pietra che fugge dalle barricate della primavera di Praga tra siluri e sigarette elettroniche che rischiano di accentuarle la gastroenterite.
Forche caudine esulano dalla mia comprensione che giudica e beve alla salute della foresta amazzonica e dei suoi rinoceronti froci. Esalando l’ultimo respiro Attila mi spiega il segreto della serie di Fibonacci. Allora il nodo di petali di rose rosse fende l’aria in una fucina di pere mature che si ammorbidiscono le labbra con una divisa da militare.
In quest’ottica Ausilio guarda l’aria e vede atomi che lo osservano con occhi da pescatori che cercano di gettargli l’amo nell’ano. Il gioco non vale la candela amico mio. Il tempo non ti lascerà più e ti costringerà a filtrare una caraffa di sberle attorno alle gonadi di una cerbiatta in calore.
Erigiamo una statua nel centro città e sbarchiamo insieme ad una spremuta d’arancia per liberare il pollo Arena dalle grinfie del supermercato cinese. Evitando così le ultime volontà di un satrapo orientale che espelle le tossine dalla gola di un serpente a nove code usato come frusta per Gesù.
Ausilio si gratta la trippa di gatto e si masturba con la coda pelosa. Un porno gatto che ai tempi d’oro faceva impazzire le gatte e le trasformava in cagne adoratrici di Osiride.
Per questo cancelliamo la lavagna e disegniamo un pene su un altro pianeta con la nostra jeep spaziale facendo concorrenza alla Nasa col nostro Naso a canappia.
W il Bronx di una volta.