Cretino


Una follia mi guarda dallo specchio di un treno in corsa e piange. I suoi riccioli d’oro compaiono al cospetto della tristezza che, sovrana, li scompiglia senza rispetto. Nel possente turgido camaleonte che si solletica i baffi per avere un aspetto di mandarino cinese si accende un camino sul suo naso per fumarsi una sigaretta ululando alla luna piena di succo di carote.
Una casta diva suona l’arpa in mezzo al deserto per un gruppo di proci frochi che banchettano al suono della lira e di un gettone di presenza.
Mi affliggo delle pene dell’inferno per la croce di una vita passata a sognare l’altro mondo in una gioia vivace e degna di amore finalizzato al piacere e porto prima del primo vagito.
Piango al suono di una lacrima e una cornamusa scorreggia alle prime luci dell’alba boreale. Aurora. Ride e scappa in un altro pianeta.
Piove la pioggia di stelle. Su un altare di legno.
Pinocchio si tinge il naso color legno di pino mentre un salice piangente colora di nero il lago di montagna incantato. Guarda come guardi. E guardati nello specchio di una gallina soffritta.
Guardo il soffitto e mi chiedo se mai avro’ una Cadillac per nuotare in piscina tra gli squali e le rane impalmate che giocano a tressette col morto.
Mostrami il paradiso, cretino.

Ho riscaldato il mio cervello al microonde


Scoppio nell’ambito di un fantasma. Mi lascio andare alla follia che alberga sempre più padrona della mia mente e lo spazio mi sembra un grande vallata di fumo e alcol. Un grande buco dove il niente diventa e basta. M’abbandono alla lanterna dell’amore che scivola dolcemente su uno zucchero a velo di alito positivo. Un ambiente diverso. Fatto di gruppi elettrogeni e allucinogeni. Dove il sonno non alberga più. La notte è un immenso soffitto bianco mentre faccio l’amore con una chitarra elettrica e fondo i miei testicoli nell’assolo di una canzone che spacca i timpani ridondando come una campana a morto. La televisione continua a trasmettere mentre chiudo gli occhi e il telecomando cade dalla mia mano sinistra. Gli occhi finalmente si chiudono sul sipario dello sbarco di Normandia. Che ha trasformato un’Europa nel cinquantaduesimo stato degli Stati Uniti. Vedo un dentista che opera una bambina. Vedo il sangue schizzargli negli occhi. Vedo Che il sangue è il suo. Vedo che il dentista muore e la bambina scende e se ne va.

E il silenzio scende sulla mia notte insonne.

Gruppi di mosche s’insinuano intorno alla mia cena scaldata al microonde.

Onde radio si mescolano alle pustole d’alloro che circondano il pazzo che si aggira nella mia stanza mentre dormo e mi guarda e mi osserva e mi seziona come se mi conoscesse, come se fosse una parte di me.

Mi bacia e mi risveglio. M’illumino e vedo. Sciami di luci in una’arcobaleno di suoni color della cenere. Insieme ripuliamo i morti del cimitero. Finché la morte non viene a seppellire il bambino e la trinità divina.

Buon Natale toilette mia cara. Che ogni mattino accogli il putrido fiele che alberga il corpo di un pazzo.

Buon Natale a te, orifizio da cui scende un’ira molle color cenere.

Buon Natale a tutti voi, pazzi. Che sciogliete una mela nella bocca del demonio e fate sesso con un’aranciata di birra semovente.

Mi agito e scopro che il mio sonno altro non è che un insieme d’incubi e sogni agitati dalle note sgangherate di una sedia elettrica. Mi chiudo e mi rinchiudo nel caldo abbraccio delle mie lacrime che pensano a una seconda vita cullate dall’atmosfera di Marte e Venere.

Esco da una passerella fatta di angeli e plano su nuvole di smog al contrario e passo da una nuvola all’altra con le liane come tarzan e urlo un urlo agghiacciante che spezza il mio cuore e mi fa passare dal sonno alla morte.

E mentre osservo il mio funerale penso e ricordo a un tempo in chi non dormivo e sognavo di morire. E sciami di amare mosche lacrimavano in mia compagnia e di una toilette natalizia, forse un regalo di un parente pazzo.

Ora sento che la mia pazzia ride e piange e ama e lotta e siede alla destra del padre e della madre. Prego che la nonna si masturbi sul ventre di una balena rotta.

Solo così troveremo la pace nei sensi di una chitarra rock.

Polipo pulp


Livido sesso di una membrana di sangue si staglia sulla tela di un pittore bambino che succhia il pennello come fosse un pollice per bere il succo della materia divina. Si staglia sulla tela il processo effimero di una donna elefante che corre nuda nel deserto di amori e sapori laceranti e urlanti. Gode la città di spiriti maligni che voracemente ne mangiano l’anima e mangiandola diventano santi e sassi e rocce di smeraldo che dorme il sonno di un bambino defunto e risorto.

Prega mia bella la sorte rapita in un polipo multicolore che si mescola con se stesso in un universo senza tempo. Dove lo spazio racchiuso in una tela dipinge il seno di una puttana. I sentimenti si fulminano indecenti e carichi di alloro e spezie d’oriente che caricano un cavallo di putrido letame e ne affumicano l’incenso che sa di origano e cannella.

Walter si soffia nella pipa e aspira il sacro desiderio di una stella bruciante e immortale nei polmoni densi del fumo che droga il cervello e il cuore, mentre si spegne il cerino acceso dalla madonna di tutte le tele vergini e colorate.

Walter sogna il tempo che fu, un dio benestante dai mille coriandoli mentre ballava il carnevale insieme alla dorata criniera della sua bella Maria e l’amplesso godeva del momento senza un respiro che potesse librarli nel cielo di fuoco. Piangeva Walter nel mezzo di una masturbazione e l’amplesso fu un grido di dolore che fuggì dalle labbra e dalla gola, dallo stomaco e dal petto facendo tremare gli oggetti che ne temevano la potenza distruttrice.

Fumava, Walter la droga del cuore e della mente inebriata di follia alla sua massima potenza, mentre origano e cannella si spargevano nel seno della sua bella immortalata nella sua tela ad eterna memoria, a defunta memoria di vivi che non si danno pace, di morti che sono sereni. In una tela assente e presente a quel momento di vita, come un morto che ti guarda. E si chiede perplesso il perché del dolore.

La nostalgia di un ricordo si sparge nel vuoto di una camera oscura e rischiarata dalla luna che penetra nell’intimità di una grotta dei sensi. Mucillaggini di sterco la ricevono e sembrano più puzzosi che mai mentre Walter giace svenuto sperando di esser morto per stringer Maria almeno un momento. E la tela si anima e gli fa una grazia.

Risplende alla luna ed entrambi splendono nell’abbraccio immortale di un’anima che ora vive e si addormenta col suo sposo per un momento, calmandogli il cuore, calmandogli il dolore, benigno tumore di un tempo che fu e non tornerà mai più. E una lacrima scende solitaria, una lacrima di pace, una lacrima di sereno abbandono.