Una pecora s’ingiallisce le dita scoperchiando un delirio di mango


Una mano di cartapesta si stuzzica l’orecchio di paglia e l’altra mano suona il gong. Filippo ama una chitarra alla follia erotica, la gioca al flipper per un pugno di dollari e la perde rovinosamente contro una scommessa alla palla di lardo. Non potendo vivere senza un suono a macchia di leopardo Filippo si muta in una transenna di caramello e si fonde alla prima giornata di sole azzurro. Colpisco al centro le foglie di un cumulo di letame per muover e un’anima di legno e mi chiedo se la filosofia del sale è tutta in un piatto di patatine fritte che mangerò tra poco.
Il silenzio licenzia impiegati e operai, imprenditori edilizi e prostitute e li manda in una strada che sa di spazzatura atomica. Là dove una pista di atterraggio s’informa degli ultimi diritti dei lavoratori a colpi di sciopero e pistola Filippo si distende a prendere sole e spazzatura, nel silenzio di una tomba nella quale i licenziati prendono la pensione d’oro, d’argento e di birra.
Cavoli, però quanto un cuscino farebbe comodo in questa situazione, pensa un po’ nevrotico, E quante puttane darebbero una mano per una serata all’olgettina tra champagne e arrosto di prosciutto con aceto di Viagra su panzerotti di stupro. Il partito dei giudici s’indegna e il cittadino si rompe il malleolo contro un branco di balbuzienti che fanno finta di non tartagliare, ma solo in campagna elettorale.

Tamburo di pastasciutta affumicata


Il pazzo fracasso di un tempo che sfugge dalle sottane gaudenti di una musica pop mi strugge le gonadi e vola fugace e sagace nella nebbia padana per afferrare un fratello lontano, morente ma che mi sorride fraternamente affettuoso. Mi parla dal cancello dell’eternit dove è stato spedito dall’ingiustizia del pil. Un’urgenza che mi spinge al bagno per pulire i meandri intestinali comunica con l’aldilà e riporta il messaggio del divino big bang che ora so che non era un orgasmo, bensì una cacata universale come questa.
Questo dimostra quanto tu sia uno stronzo per non dire quando parli. O quando ragioni come un tamburo battente sui chakra del suono non credi che il sacro buddha non si guardi le palle con indifferenza?
Dubita e vivi. Vivi e sogna. Sogna e muori. Ma non senza un colpo di martello sul culo. Solo così attraverserai indenne il vallo intestinale che ti porterà a guardare con altri occhi la morte e a farne un pallino di strutto quantico.
Che bella parola.
Ora mi preparo un’insalata. Quantica.
O faccio una scopata. Quantica.
Una sega quantica mi teletrasporterebbe in una discoteca della costa d’avorio? Chissà. La filosofia (quantica) non ci da risposte anche perché non è stata ancora inventata. Ci vorrà la prossima cacata galattica per inventarne una.
Lasciamo parlare il chakra del tamburo informe per considerare una gita nel mezzo di sedicienti zebre africane che cercano di entrare nell’unione federale europea per cercare un lavoro e fare bambini.
Sopravvivenza e riproduzione. I nostri programmi di base. Senza di loro potremmo essere liberi e pazzi. Ma ci estingueremmo.
E allora lavoriamo davanti allo schermo di un fratello computer per importare i sistemi generazionali in un file open source e chiudiamo gli occhi teneramente mentre ci addormentiamo nel sonno travagliato di bambini adulti. Orfani di un padre. E di una madre. Che cercano di assaporare i tentacoli della vita sub urbana finendo in un coacervo di elementi dal sapore di finocchio amaro.
Mi ritiro in bagno con un crampo allo stomaco per creare un universo di fagioli borlotti.
E mi addormento in posizione fecale.