Un delirio sfugge alla costante di Heysel e volge le sue corna contro un cratere di segatura arrugginita. Mi muovo nell’incomprensione di un cavallo impazzito. I colori del cielo ballano tra presidenti di cartapesta al suono dei violini Stradivari. I colori di un videogioco si baciano i culi senza pudore di storie di pazzia rossa.
Le cheer leader applaudono orchi e draghi che giocano a carte nella cortina di ferro.
Sbadiglia. Tu. Sbadiglia. è un gioco al massacro. Sbadiglia. Di noia. E di sugo di pomodoro che esce dal petto durante un’opera lirica.
Soldi cascano da cuffie radiosferiche che nascono dai tuoi sentimenti verso il Dio delle grazie.
Ti fai la doccia per vedere l’oro colare dai neuroni dopo l’elettroshock e lotti per mantenere un pelo di dignità dovuto alla schiavitù del sale.
Il lavoro rende liberi.
Diabolik ti guarda. Devi essere cauto. Sbadiglia per addormentarlo.
Con la pazzia urinaria di una statua di un principe dei poveri.
Mi succhio l’uccello da un paio di gambe che corrono attorno a un tavolo verde che si muove sulle sue unghie. Una forza muscolosa separa i miei occhi e chiude le palpebre. Sbadiglia. Cucina. E leggi. Il delirio di un sangue fresco che digerisce un pasto copioso.
Suoni rimbalzano nella mia mente.
Venti statuette applaudono sedicenti mausolei che annunciano la fine del mondo.
Angeli sbattono le ali e covano le uova
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Non ho l’età
Una pecora triste. È questo che mi passa sotto al naso colorato di violetto. Sotto voci di fighe ridenti del Texas durante un rodeo alla Scala di Milano. Mentre si fanno la doccia vedono la stella polare con la quale si spazzolano i capelli. Il rodeo inizia e la puzza di capra selvatica si sparge nel pube di Jessica mentre le sue amiche le spazzolano i peli e i capelli. Un dolce odore di sottomarino le solletica le gengive e spinge la spazzola sotto al pube insieme alla faccia di Johanna che la unge di lucido da scarpe prima di leccarla con un lussureggiante “occhio di triglia: la marca più indicata di attrezzi texani per sole donne. “Chi di capra ferisce di cavolo perisce” dice loro Anastasy che sostiene a malapena due tette che potrebbero fare da pista da sci.
Jessica e Johanna vengono insieme e ridono dei loro vagiti come bambine che guardano orsi polari nel cielo stellato di pesci e argento.
Nella notte del 14 agosto le nostre membra si smembrarono nell’angusto scantinato della zia Pina. E le mischiammo al mosto facendone del buon nettare degli dei greci.
Fu così che Santana si fece sparare alle palle durante un agguato all’OK Corrado, il famoso gioco a premi dove se vinci puoi uccidere chi ti pare e la vittima andrà in Paradiso o all’inferno secondo quello che dice Dante Spatozzi di ritorno da uno dei suoi famosi “Viaggi dell’estasi”. Comunque, dicevamo, Santana si fece sparare alle spalle, o alle palle, non ricordo più bene. Comunque ci restò secco lo stesso. È questo che volevo dire caro Coglionazzo.
Sì proprio tu che leggi. Sei un Coglionazzo. È bello insultarti perché so che tu ci godi fisicamente ad essere insultato. E lo sai che la cosa ti fa bene perché mamma ti ha insegnato che bisogna sempre dire la verità. Ma che la devi smettere di andare a puttane. Magari a trans sì, ma a puttane no. È ora di diventare persone civili prima di rimetterti il pannolone. Vecchio stronzo. E ignorante. Lo sai chi ha scoperto l’America? Frank Sinatra ecco chi. Ma tu non lo sapevi. Quindi sei stronzo. Ma ti perdono perché non è colpa tua ma di quell’imbecille che ti ha fatto. Ma questo è un altro discorso.
C’è un barbone.
C’è un barbone vicino a casa mia. Me lo incrocio un giorno si è uno no tornando dall’ufficio. Mi fa incazzare. Non è come gli altri. Non chiede elemosina. Non spacca i timpani nei metrò e i marroni per la strada urlando o litigando o venendo a chiederti una sigaretta. No. È alto e robusto. Ha i capelli grigi un po’ lunghi e così grassi che ti verrebbe da offrirgli una doccia e una lavatrice.
Lo trovo seduto o in piedi barcollante. Testa verso il basso con i capelli che la ricoprono.
Quando vedo i suoi occhi il messaggio che leggo è “Dio dammi la morte, cazzo” e Dio non gliela dà. E lui soffre.
Ha finito, non ne ha più, eppure il suo fisico resiste.
Ispira tanto dolore che ogni tanto qualcuno va lì di sua iniziativa e gli dà dei soldi senza che lui li chieda.
Non so se dargli il colpo di grazia o sedermi a fare quattro chiacchiere con lui per dargli…che? Conforto? Farmi i cazzi suoi e basta? Scrivere un articolo su chi non ce la fa più? Dargli soldi perché se li spenda in birra? Incazzarmi con Dio perché gliela faccia fare finita con ‘sta commedia dell’arte che è la vita di tutti quanti?
Credo che mi destabilizzi perché non è altro che la mia paura di vivere fatta persona. Quello che ti aspetta se non ce la fai. Quella silenziosa disperazione di cui sei cosciente anche se cerchi di non vederla, di non sentirla e, soprattutto, di non ammetterla.
Ecco quando vedo lui ho paura per me, soffro per lui, e prego per un mondo migliore. E prima o poi gli darò anche dei soldi senza che me li chieda per fare una doccia al mio senso di colpa per star meglio di lui.