M’ingollo di roba da vomitare per essere sicuro di passare su trenini di gomma da brodo passato al passato presente futurista a cavallo di una moto da centauro centenario. Tornando da una casa infestata di topi e regine mi siringo una coca di eroina ed esplodo e mi frammento e mi rammento di una casa verdeggiante in mezzo a colli atipici bombardati di fresco e decorati da denti e gengive incastrati in alberi di ulivo che discende dolcemente verso il mare azzurro cresta di gallo.
Per questa ragione non vedo perché non pilotare sterchi di formula uno che viaggiano a velocita ventennale per poi posarsi su rami innocenti e fare il nido per allevare una prole di ragni rognosi di vedove vestite di nero che scopano castagni in fiore da una discoteca techno all’altra.
Lecchiamo un lecca lecca come si lecca l’uccello di un lavandaio accecato da una bestemmia tirata di sbieco in un momento d’incazzo solitario. E finocchi ciarlatani si masturbano con cavoli a merenda per dimostrare la loro lezione di omofobia sbilenca a coppie in cerca di uno scambio alla pari per oliare i loro organi epilettici con i liquidi di altri marziani in cerca di sturalavandini color arcobaleno.
Pieghiamo i gomiti e infiliamoci una mano in segno di saluto al Dio imperatore.
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Tamburo di pastasciutta affumicata
Il pazzo fracasso di un tempo che sfugge dalle sottane gaudenti di una musica pop mi strugge le gonadi e vola fugace e sagace nella nebbia padana per afferrare un fratello lontano, morente ma che mi sorride fraternamente affettuoso. Mi parla dal cancello dell’eternit dove è stato spedito dall’ingiustizia del pil. Un’urgenza che mi spinge al bagno per pulire i meandri intestinali comunica con l’aldilà e riporta il messaggio del divino big bang che ora so che non era un orgasmo, bensì una cacata universale come questa.
Questo dimostra quanto tu sia uno stronzo per non dire quando parli. O quando ragioni come un tamburo battente sui chakra del suono non credi che il sacro buddha non si guardi le palle con indifferenza?
Dubita e vivi. Vivi e sogna. Sogna e muori. Ma non senza un colpo di martello sul culo. Solo così attraverserai indenne il vallo intestinale che ti porterà a guardare con altri occhi la morte e a farne un pallino di strutto quantico.
Che bella parola.
Ora mi preparo un’insalata. Quantica.
O faccio una scopata. Quantica.
Una sega quantica mi teletrasporterebbe in una discoteca della costa d’avorio? Chissà. La filosofia (quantica) non ci da risposte anche perché non è stata ancora inventata. Ci vorrà la prossima cacata galattica per inventarne una.
Lasciamo parlare il chakra del tamburo informe per considerare una gita nel mezzo di sedicienti zebre africane che cercano di entrare nell’unione federale europea per cercare un lavoro e fare bambini.
Sopravvivenza e riproduzione. I nostri programmi di base. Senza di loro potremmo essere liberi e pazzi. Ma ci estingueremmo.
E allora lavoriamo davanti allo schermo di un fratello computer per importare i sistemi generazionali in un file open source e chiudiamo gli occhi teneramente mentre ci addormentiamo nel sonno travagliato di bambini adulti. Orfani di un padre. E di una madre. Che cercano di assaporare i tentacoli della vita sub urbana finendo in un coacervo di elementi dal sapore di finocchio amaro.
Mi ritiro in bagno con un crampo allo stomaco per creare un universo di fagioli borlotti.
E mi addormento in posizione fecale.
Oro Pando
Onda lunga in salsa liquida m’interessa la voce della nonna Panda. Nonna Panda soleva flirtare col Carroccio e preparare salse al peperone tamburellando con il fior di cotenna. Condiva sole, luna e stelle condite in salsa di pomodoro. Per portarle in riva a un monte e sedurle con un sitar indiano.
Una voce liquida tramonta sulla Senna e Parigi si sveglia per rifornire la notte di Eros e Marte. E per riformare il sistema sanitario. Rialzandosi con fatica la statua di Arianna si accoppia con Apollo in una discoteca nel quinto arrondissement parigino, là dove una ex maitresse ha aperto le porte alla grancassa della banda di paese per fumare marijuana dalla vagina di un serpente. E suona la marsigliese. Suona e accoppia gli stendardi in moribondi infernali che succhiano la vita da pinoli al peperoncino. E restano aggrappati a divani a molle arrugginite da urine acide ed escrementi rinsecchiti che il Gange benedice. E benedice anche la mia assicurazione sulla vita. Con un sitar indiano. E la musica folleggia nella nuit parisienne, tra trans che abbaiano per la strada e scimmie aureoleggianti che scoreggiano allegria sotto forma di elicotteri ad idrogeno liquido.
Mi dico che posso volare. E la festa di paese si riempie di pane transgenico proveniente dalla Cina, preghiamo quindi per la nostra baguette quotidiana sotto forma di fallo emergente.
Mi mangio un ossimoro di bue e mi unisco alla festa chiassosa, mentre Internet spara bit all’impazzata in cervelli di cuoio tappezzato di blu.
Una colica dormiente si corica su divani brillanti e puliti e schiaccia un pisolino per recuperare le energie per la prossima festa.
Bonne nuit Michelle, ma belle.