Voli egiziani contemplano asetticamente la trance nella quale ballo un ballo a base di banane comprate in ferramente sul Nilo. L’attimo estatico nel quale Osiride ci guarda e si masturba mi miete il grano incastratosi nel cervello a volo d’aquila. Così come mi spargo lame insanguinate sulla faccia tutte le mattine e tutte le notti.
Sogni di sirene ululanti pungolano tutti i miei sogni di catarro fondente amaro. Nel tombino infuocato mi aspetta l’inferno di una medusa sorridente che mi stringe nell’abbraccio immortale. Afrodite ci fa ardere di desiderio e la poetessa delle ninfe ci propone un’orgia con i watussi musulmani.
Ci fu un’epoca in cui Dante non era considerato politicamente scorretto e in cui la privacy coltivava un singolo carro funebre di tutte le mense anziendali.
Ecco vedo la salita sospinta dall’ululato di un infante divino che striscia come una lucertola dorata le bolle d’aria di un cervello spappolato.
Sibila il serpente tra adamo ed eva e distorce una relazione d’amore divino come un giuda iscariota ma lo fa gratis. A proposito, che fine ha fatto il serpente? A me interessa. Lui e Giuda sono i più simpatici. Giuda me lo immagino con gli occhi a mandorla mentre assaggia un pompelmo appena raccolto. Ai giorni nostri sarebbe un eroe mediatico. Come Schettino.
Violiamo il ritmo di un ragga party e guardiamo Horus nelle palle di Orione mentre lo prende in culo convinto di stare scopando. Sarà che i greci hanno imparato dagli egiziani? Domande somatiche come queste hanno fatto la storia della filosofia gay. Ho freddo ai piedi.
Mi lamento di un dromedario sotto la pioggia che accumula acqua fino a scoppiare e se la beve dopo. Perché non posso fare la stessa cosa con la coca cola?
Medusa vengo con te stringimi tra le tue lacrime di cotechino caldo tra le gambe.
Archivi tag: desiderio
Come il bacio per il cioccolato
Una vecchia vestita di grigio e di rosso aspetta che l’amo faccia il suo lavoro in uno stagno vicino a casa. Guarda lo stagno e pensa a quando era giovane che credeva che pescare fosse una cosa da vecchi. Aveva proprio ragione. Specie se si è vecchi e affamati e non ci si può permettere di comprare carne al mercato. E si ha tutto il tempo.
Giusto aspettare che finisca anche quello. E allora pensa ai suoi nipoti lontani e ai suoi morti. Marito, sorella, genitori, amiche e amici. A novant’anni li hai seppelliti quasi tutti, pensa, e spera che questo pesce le permetta di seppellirne anche qualcun altro. In fondo alla fine diventa una gara di resistenza. E un desiderio atroce di farla finita.
Sì perché tanto quella che vince in fondo è la solitudine. Charlie non è d’accordo con lei. Per lui la solitudine è meglio di una moglie. Una compagna fedele sempre pronta a farlo stare bene. E che l’aiuta a realizzare sogni che non s’era neanche mai immaginato di avere. Ecco alla fine Charlie è l’ultimo rimasto da seppellire, poi se ne può anche andare. Anche Charlie le dice la stessa cosa.
Quel pesce lo sta pescando proprio per lui.
Lo ricoprirà di cioccolato fondente e lo congelerà, poi lo tirerà fuori in modo che si scongeli la cioccolata ma non ancora il nucleo e quando lui lo assaggerà beh, sicuramente deciderà di baciarla. S
orride pensando al fatto che o sarà così o farà fuori tutt’e due così non ci saranno né vinti né vincitori, ma semplici morti.
Polipo pulp
Livido sesso di una membrana di sangue si staglia sulla tela di un pittore bambino che succhia il pennello come fosse un pollice per bere il succo della materia divina. Si staglia sulla tela il processo effimero di una donna elefante che corre nuda nel deserto di amori e sapori laceranti e urlanti. Gode la città di spiriti maligni che voracemente ne mangiano l’anima e mangiandola diventano santi e sassi e rocce di smeraldo che dorme il sonno di un bambino defunto e risorto.
Prega mia bella la sorte rapita in un polipo multicolore che si mescola con se stesso in un universo senza tempo. Dove lo spazio racchiuso in una tela dipinge il seno di una puttana. I sentimenti si fulminano indecenti e carichi di alloro e spezie d’oriente che caricano un cavallo di putrido letame e ne affumicano l’incenso che sa di origano e cannella.
Walter si soffia nella pipa e aspira il sacro desiderio di una stella bruciante e immortale nei polmoni densi del fumo che droga il cervello e il cuore, mentre si spegne il cerino acceso dalla madonna di tutte le tele vergini e colorate.
Walter sogna il tempo che fu, un dio benestante dai mille coriandoli mentre ballava il carnevale insieme alla dorata criniera della sua bella Maria e l’amplesso godeva del momento senza un respiro che potesse librarli nel cielo di fuoco. Piangeva Walter nel mezzo di una masturbazione e l’amplesso fu un grido di dolore che fuggì dalle labbra e dalla gola, dallo stomaco e dal petto facendo tremare gli oggetti che ne temevano la potenza distruttrice.
Fumava, Walter la droga del cuore e della mente inebriata di follia alla sua massima potenza, mentre origano e cannella si spargevano nel seno della sua bella immortalata nella sua tela ad eterna memoria, a defunta memoria di vivi che non si danno pace, di morti che sono sereni. In una tela assente e presente a quel momento di vita, come un morto che ti guarda. E si chiede perplesso il perché del dolore.
La nostalgia di un ricordo si sparge nel vuoto di una camera oscura e rischiarata dalla luna che penetra nell’intimità di una grotta dei sensi. Mucillaggini di sterco la ricevono e sembrano più puzzosi che mai mentre Walter giace svenuto sperando di esser morto per stringer Maria almeno un momento. E la tela si anima e gli fa una grazia.
Risplende alla luna ed entrambi splendono nell’abbraccio immortale di un’anima che ora vive e si addormenta col suo sposo per un momento, calmandogli il cuore, calmandogli il dolore, benigno tumore di un tempo che fu e non tornerà mai più. E una lacrima scende solitaria, una lacrima di pace, una lacrima di sereno abbandono.