Delirami o Musa per le branche della tua pelle umana che mi accarezza i brandelli di cervice. Delirami col tuo muso a faccia di pesce per ispirarmi la poesia del cane e vortici di salsa maionese che mi attorniano il cervello tra salti di zenzero e sesso alla bucaiola. Ecco, mi guardo in giro e pretendo la luna, Marte e un paio di galassie, sì, le vorrei ben cotte, grazie, e con due dita di corna di toro macellato di fresco.
Amo il becco di una tortora. E allora perché mi pone domande filosofiche. No preferisco una zirudela raccontata al suono di una fisarmonica e canti di paesi. Mi perdo in ponti e pontefici e cardinali scardinati da catenacci sadomaso. Perché il Vaticano ispira sempre il sadomaso? E il nazismo la pedofilia? No forse il contrario. Ma comunque ciascuno aspira l’aria che gli arriva dal culo degli altri, questo è il punto. E la fonte dell’inquinamento acustico. Troppi sordi e troppi ciechi circolano davanti a semafori indecisi e arbitri corrugati e corrosi. Tutti saltano dall’Expo e si tuffano nella Mosa tutti ciechi e tutti sordi, tutti incoscienti e ignari. Messi da Dante nel circolo degli ignavi. Davanti a Madonne che alloggiano all’Olgettina. Davanti a putti che fanno pipì ammirati dai turisti.
Marcio silenzioso in un mare di mele marce e mi sturo il naso. È così che Galina gode. Un Reggiseno adattato ad Alice nel paese delle meraviglie. Saffo moltiplica poesie per femmine che ridono e piangono. Con aglio alla mano e parmigiano al piede. Che cade insieme a Ulisse da una Cistercense all’altra.
Estraiamo un estratto di sogliole e beviamo il succo del peccato originale. Non sa di mela ma di arancia meccanica. Un sapore di pazzia latente che rende il cervello antisettico, antistaminico e pieno di patate. No, non friggere. Mangia le domande che escono dalla finestra.
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Canta l’uccellino di Dio mentre Odino fa il brodo di cavallo
Una nube oscura si accende nel mio nasino e tuona una violenza d’agosto senza padreterni che soffino sulle candeline del mio compleanno. Non posso piangere, ma comunque prego e forte e dormo su chiazze di sangue del mio nasino carino. Nel nome del padre, del figlio e di una Madonna vivente ma nata morta che urina nel piatto di pastasciutta della sagrada familia. Sempre e docilmente. La parola fu luce e luce fu serpente. E allora tu, tu, non piangere. Ridi canta e balla prima che lo spettacolo finisca senza un applauso.
Parole buttate come cenere d’agosto. In una piattaforma Windows che non aspetta di accendere la luce di un buttafuori che ti buttadentro a un cestino della Valfrutta, molto densa che aspetta le larghe intese di un burattino senza fili che ci porta nelle braccia di Biancaneve sotto i sette piani. Piani d’argento e apostrofo. Di un corridore che fatica a respirare durante una discesa negli inferi danteschi e ci trova proprio Dante. Ma che sfiga, fa il primo, Puoi dirlo forte fa il secondo, se lo sapevo col cazzo che stavo a scrivere tutta la commedia.
Tu, topo di fogna, rispondi alle domande che ti sfiorano il cervello nei momenti alcolici in cui ti vomiti fuori lo schifo di cui sei ricoperto. Oppure beviti l’ultimo drink quello prima di crepare in mezzo a una montagna di clark. Odi Odino la balalaika di un marocchino ubriaco di fumo e giarrettiere arcobaleno spinto a mano da Dio. Odi e non fingere di non morire ogni volta che una nota di Verdi sfiora il tuo Rigoletto guercio e la tua barba rossa sfrigola davanti al batacchio rosa di una primula che canta l’Osanna nell’alto dei peli di capra lesbica.
Quindi, caro topo, non ridere se tornando a casa tua moglie ti tira una padella in faccia, lo sai che i cavalli non telefonano così spesso neanche quando sono in giornata. Per cui tieni il piede in folle e metti in moto che stamattina sei in ritardo per lavorare.
Non ho l’età
Una pecora triste. È questo che mi passa sotto al naso colorato di violetto. Sotto voci di fighe ridenti del Texas durante un rodeo alla Scala di Milano. Mentre si fanno la doccia vedono la stella polare con la quale si spazzolano i capelli. Il rodeo inizia e la puzza di capra selvatica si sparge nel pube di Jessica mentre le sue amiche le spazzolano i peli e i capelli. Un dolce odore di sottomarino le solletica le gengive e spinge la spazzola sotto al pube insieme alla faccia di Johanna che la unge di lucido da scarpe prima di leccarla con un lussureggiante “occhio di triglia: la marca più indicata di attrezzi texani per sole donne. “Chi di capra ferisce di cavolo perisce” dice loro Anastasy che sostiene a malapena due tette che potrebbero fare da pista da sci.
Jessica e Johanna vengono insieme e ridono dei loro vagiti come bambine che guardano orsi polari nel cielo stellato di pesci e argento.
Nella notte del 14 agosto le nostre membra si smembrarono nell’angusto scantinato della zia Pina. E le mischiammo al mosto facendone del buon nettare degli dei greci.
Fu così che Santana si fece sparare alle palle durante un agguato all’OK Corrado, il famoso gioco a premi dove se vinci puoi uccidere chi ti pare e la vittima andrà in Paradiso o all’inferno secondo quello che dice Dante Spatozzi di ritorno da uno dei suoi famosi “Viaggi dell’estasi”. Comunque, dicevamo, Santana si fece sparare alle spalle, o alle palle, non ricordo più bene. Comunque ci restò secco lo stesso. È questo che volevo dire caro Coglionazzo.
Sì proprio tu che leggi. Sei un Coglionazzo. È bello insultarti perché so che tu ci godi fisicamente ad essere insultato. E lo sai che la cosa ti fa bene perché mamma ti ha insegnato che bisogna sempre dire la verità. Ma che la devi smettere di andare a puttane. Magari a trans sì, ma a puttane no. È ora di diventare persone civili prima di rimetterti il pannolone. Vecchio stronzo. E ignorante. Lo sai chi ha scoperto l’America? Frank Sinatra ecco chi. Ma tu non lo sapevi. Quindi sei stronzo. Ma ti perdono perché non è colpa tua ma di quell’imbecille che ti ha fatto. Ma questo è un altro discorso.
Ballo uniforme
Voli egiziani contemplano asetticamente la trance nella quale ballo un ballo a base di banane comprate in ferramente sul Nilo. L’attimo estatico nel quale Osiride ci guarda e si masturba mi miete il grano incastratosi nel cervello a volo d’aquila. Così come mi spargo lame insanguinate sulla faccia tutte le mattine e tutte le notti.
Sogni di sirene ululanti pungolano tutti i miei sogni di catarro fondente amaro. Nel tombino infuocato mi aspetta l’inferno di una medusa sorridente che mi stringe nell’abbraccio immortale. Afrodite ci fa ardere di desiderio e la poetessa delle ninfe ci propone un’orgia con i watussi musulmani.
Ci fu un’epoca in cui Dante non era considerato politicamente scorretto e in cui la privacy coltivava un singolo carro funebre di tutte le mense anziendali.
Ecco vedo la salita sospinta dall’ululato di un infante divino che striscia come una lucertola dorata le bolle d’aria di un cervello spappolato.
Sibila il serpente tra adamo ed eva e distorce una relazione d’amore divino come un giuda iscariota ma lo fa gratis. A proposito, che fine ha fatto il serpente? A me interessa. Lui e Giuda sono i più simpatici. Giuda me lo immagino con gli occhi a mandorla mentre assaggia un pompelmo appena raccolto. Ai giorni nostri sarebbe un eroe mediatico. Come Schettino.
Violiamo il ritmo di un ragga party e guardiamo Horus nelle palle di Orione mentre lo prende in culo convinto di stare scopando. Sarà che i greci hanno imparato dagli egiziani? Domande somatiche come queste hanno fatto la storia della filosofia gay. Ho freddo ai piedi.
Mi lamento di un dromedario sotto la pioggia che accumula acqua fino a scoppiare e se la beve dopo. Perché non posso fare la stessa cosa con la coca cola?
Medusa vengo con te stringimi tra le tue lacrime di cotechino caldo tra le gambe.
Vacca boia!
Una battaglia nello spazio aereo di una ballata triste con trombetta mi falcia il viso con una frusta di titanio sgonfio. Parole libere che sfrecciano nel cuore di un’anima in pace con l’aria che tira e svolgono la loro funzione di verbo creatore che manda luce e materia nelle vene dei giganti che si moltiplicarono come topi alla faccia dei serpenti.
Paperopoli è una città piena di seghe mentali, ma che al momento giusto mette da parte la filosofia del pollo per caricare la bombetta di Paperone e partire alla ricerca del tesoro. Galli panti si cercano e beccano le parole come chicchi di mais che piovono dalla luce venerea.
A Mikonos leggono le leggende che richiamano la pazzia dei sordomuti cantori di una civiltà che fu. E Ulisse e Odisseo e la maga e la Circe si crogiolano nella loro vasca infernale della commedia di Dante che nel tempo dell’esilio si concesse una vendetta immortale.
Avviciniamoci al fulmine di una patata lessa e ridiamo delle coccodrille imbalsamate dagli egizi con tanta cura che paiono muoversi e danzare per noi un ballo funebre al ritmo del tamburo. Jessie James spara e buca un cappello di traverso all’uomo che si chiama nessuno e Joan Baez canta il canto dell’usignolo con l’ala spezzata. In tempo di crisi l’importante è alzarsi la mattina e rompere un vetro con una testata secca. E una camicia bucata. Fresca di lavaggio. Lavaggio del cervello. Frammenti cerebrali sono rimasti nel rotolo della carta igienica e presuppongono di poter descrivere la Maddalena piangente sotto la croce di Gesù e non si rendono conto di stare morendo e quindi continuano a vivere nella dimensione del verbo. La parola sacra suona come un violino stradivari che piange ad ogni nota circolare. E manda nel mondo falene incazzate per circoncidere il processo di amalgama virulenta del virus dell’aviatore cieco. Mi metto anche io in ammollo sperando che una cantilena assopisca i sensi di carota marcia che solleticano la pancia di coniglio bianco e nero.