Una lucertola guarda nell’occhio del silenzio mentre una partita a poker si gioca tra pavoni allupati di gioia elettrica. Una sirena si staglia nella notte della foresta. Un antifurto o un urlo disperato? Il gioco va avanti e impone ai giocatori di spurgarsi dalle loro fatiche finché non passeranno al livello successivo dopo la morte del personaggio. Supermario si raggomitola in un angolo perché non ne può più di giocare, ma è programmato per continuare ed è meglio far finta che dire la verità. Lo spettacolo deve continuare per il divertimento di Capitol City.
E tu Mario? Che fai? Ne è passato di tempo da space invaders e il commodore 64 ma il gioco continua come prima, come sempre e tu ora devi giocare. Per 300 euro al mese magari, ma a tempo pieno. Ora sei tu nel videogioco e giochi la vita. Non preoccuparti. Un giorno finirà. Quando sarà troppo tardi, ma finirà. Hai voluto diventare un burattino senza fili? No, non volevi, ma è così e basta. Mentre la lucertola si toglie la benda e vede attorno a se i fili neri della morte smette di sorridere e se la rimette e continua a ridere come prima. Cieca ma beata.
Una sessione di vene sanguinolente succhiano linfa vitale da canali scoperchiati di lingue violente che amano la tortura e guidano contromano. Un paesaggio presente, ma lontano e passato che non conosce colori ma ama, dicono, e parla d’amore, e compenetra anime e corpi di colori che non restano dipinge la nostra anima e la lascia assetata di nuovo. Ominidi in giacca e cravatta osservano stupefatti, pietrificati su trespoli di sterco essiccato e ululano alla luna un posto al sole per dimostrare che anche loro meritano il bonus di fine anno e quindi esistono.
Benvenuto tra gli insetti.
Archivi tag: d’amore
Quando il gallo salta due volte
Nella prateria si erge una statua che urla ai passanti una frase dipinta nell’agnello di un’auto bianca. Una rosa bislacca si sparge il rossetto su labbra paesane insieme a briciole di pane azzimo in camicia nera rosso fuoco.
Spargo si mette una tuta bianca in segno d’amore per una pulzella in calore che festeggia una putrida sensualità coniugale insieme alla moglie Tristana che si pulisce i lunghi capelli neri con la saliva di un castoro guercio.
Una capra affonda le sue mani in trincee d’amore al suono di una cornamusa in fiore e io prego la fanciulla in bianco di seminare le sue uova tra sfoglie di frumento imbrattato di catrame e poliprobilene di butano mefitico.
Mi sfrego le mani in segno di approvazione per il contorno di sesso tra seni ruvidi e capezzoli che sembrano plastica e mi masturbo in preghiera alla Vergine del manicomio in cui ritrovo conigli e pescivendoli che mi salutano e sono contenti di rivedermi.
Polline
Venusa ritaglia un angolo di tempo nel telaio storto di un’icona che ride dal riquadro color prugna appeso nel corno d’Africa sotto i bombardamenti francesi alla ricerca dell’uranio per far funzionare centrali nucleari da smantellare. Ridono dietro di loro le iene che portano sangue al mulino dello sputo di una chitarra saxofonica del dio barbaro.
Non potrei sentirmi meglio dice la ragazza alzandosi dal letto di diodi elettrici dopo una notte d’amore intenso sotto i rododendri della sua casa in stile coloniale. Suono il piffero magico di Antalenio che me l’ha prestato e mieto un seguito di rosmarini abbagliati dal fetore che spargo senza pietà alcuna e rido in una latrina militare perché i gusci di noce che escono dal culo bruciano di sale al peperoncino rosso.
Le Erinni si alzano un mattino e chiamano Medusa per lisciarle il pelo del pube e rincuorarla sull’ultimo amante morto ammazzato da lei.
All’inferno queste cose succedono ogni giorno e non c’è niente di male.
È questa una delle cose belle dell’inferno, il male non esiste più.
Così come non esiste umiliazione nel mondo di Marylin Manson.
Se hai raggiunto il punto più basso dell’umanità sei libero perché non hai nulla da perdere. Se hai raggiunto la libertà allora sei pronto per andare all’inferno. E il modo migliore è quello di morire dal ridere sopra una pila di legna da ardere.
Un abbraccio a te e una carezza a me.