Lo spirito della santa sede fischia tra i rivoli dell’inferno. E butta le proprie scarpe rotte in mezzo alla gola profonda di un coro dell’antoniano che urla le proprie urla al ritmo di un tamburo col raffreddore. Sento una voce rauca dentro le mie corde vocali sotto un tetto di stronzi col riflusso acido.
Scende un’acqua azzurra e allora mi chiedo Perché ? perché le aquile volano di sbieco e noi camminiamo in un altro posto libero dalla fortuna e riempito di sfighe che ci fanno volare da un becco di canarino all’altro là dove volano le aquile, ma perché poi. Non si sa. Se si sapesse. Ma non si sa. E le parole sostituiscono i pensieri che colano da un barattolo di Nutella riempiendoci la bocca e lo stomaco di essenza divina.
Benzine liquide s’incendiano nei miei timpani che rimbombano di cerchi acustici sotto sottane di ricotta di pus di bubboni di peste. Divento una cozza liquida in un oceano di stucchi e cerbottane che usavamo quando eravamo piccoli per farci la guerra e crederci pirati di capitan uncino in un sogno che diventa realtà solo quando l’hai persa dietro lo schermo a cristalli liquidi. E diventi la cerbottana di qualcun altro.
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Uau
Mi gratto la pancia in una fredda mattina di ferragosto mentre pioggia e neve fanno a gara per sfondare la mia finestra. Mi chiedo perché la pancia non fa a meno di aumentare le sue bolle mentre marcio alla testa di un battaglione di scarafaggi silenziosi. E un treno prosegue silenzioso la sua marcia verso il giro della peste con i bubboni danzanti intorno a una sogliola soffritta mentre piangeva soffocatamente lenta tra bulloni e patatine.
Medito nelle strade di honk kong con studenti indaffarati a fare i bagagli di un comunismo fritto e rifritto sbadigliando tra un mostro e l’altro per votare leader che saranno una vergogna e gli vomiteranno sopra ma almeno potranno dire che piove. Una lotta per l’illusione. Una lavatrice delle anime che cozza contro religioni e missioni su Marte. Mi amo e mi masturbo urbi et orbi.
Gisella si distende sulla strada per il massacro delle pedicure sulle rotaie di un treno per Yuma che fischia e fa uau uau. Ma porta lontano. Persa nella selva oscura di un trentenne che non sa perché è stato mandato in esilio. È questo l’epilogo di una storia di Cenerentola dopo che si sposa un principe zoppo a causa di una scarpa troppo stretta nella strettoia di un sogno ancora troppo piccolo per camminare con le sue gambe.
Mi pulisco le scarpe su uno zerbino che canta la musica degli antenati e una nostalgia gli scalda il cuore mentre la pioggia cade, stancamente, su di lui.
Un dodecafonico raffreddore
Un atto ecumenico fossilizza il rutto del topo, mentre cozza contro il colpo di tosse della Terra col raffreddore. Mi guardo allo specchio e mi si bagna la vagina nell’antro di Eolo. Ballo un ballo frenetico sul tavolo mentre m’infilo pistacchi nel culo e il bruciore di una banana si sparge nello sfintere. Spargo escrementi sullo schermo televisivo e il dolore della passione esplode le mie lacrime e continuo a ballare e continuo a girare e ululo. Mi guardo i capelli da adolescente e mi chiedo se un giorno balleranno da soli.
Angeli e paradisi sorridono ad una Terra di terra e fame e una donna chiede lavoro per mangiare finocchi all’inferno. Guardo l’orologio e penso che devo lavare il fango sceso sulla mia pelle e sui peli del pube. I miei capelli lunghi accarezzano il mio seno e eccitano l’anima sotto di essi. La mia pelle risponde con elettricità e io viaggio in carrozze alate verso monti scoscesi su mari limpidi.
Un pagliaccio che ride stura un lavandino di pongo e marmellata mi dice che sono una troia e gli dico che ha ragione ma che a lui non la darò mai. Prego in ginocchio lo Spirito Santo di godere degli ultimi giorni di Sodoma e Gomorra affinché il Paradiso sogni baccanali di zuppa di ceci e lenticchie zuccherate allo zenzero.
Happy hour
Una voglia istintiva di succhiare la polvere di una cozza salmastra si fa strada dentro la galleria del vento ed emette un urlo di ghiaccio soporifero. Io mi disgusto di un malleolo gigante che cammina schiacciando la saliva di miliardi di coleotteri che ridono a crepapelle. Quindi dipingo e definisco l’immagine di Dio in quattordici punti cardinali che dirigono la rotta delle caravelle dei Templari verso la nuova Luna che soffia dietro arcobaleni di fuliggine microbica. Punto.
Anche la mia pazienza ha un limite. Un limite di 34 Watt e chiude e cuce e corre e piange e si dispera di vedere tapiri diventare liquidi e bonzi d’oro raccontarsi barzellette intorno a pranzi luculliani seduti sopra poveri culi rivolti all’aria in posizione supina.
Una stella suadente ci canta le sue libellule. Una farfalla ignuda si adagia sul letto nuziale in posizione di partenza. Dodici trippe si strappano le carni per dimagrire e lanciano le proprie frattaglie in una discarica mentre il popolo è affamato e si mangia quel che rimane. Un anello lessato fornisce tutte le proteine necessarie al buon funzionamento di un matrimonio senza che lo si colleghi ad un ristorante di qualità superiore.
La Madonna si prostitui’ per accudire la prole dato che il reddito da falegnameria non fu sufficiente e a Betlemme si organizzarono orge in onore della madre santissima che acclamavano il peccato originale in sostituzione della mela cotta con Eva e Marta e Jezebel.
Un fungo lungo un chilometro si erse dalla torre di Babilonia dove bruciarono con l’acqua pesante. In una mandria di giganti che cagavano oro liquido in un attacco di logorrea galattica.
Il bar sotto casa mi offre una cioccolata e la rifiuto perché mi fa schifo.
Ma pago lo stesso.
Una mancia da re.
Piove.