In una serie di alterchi una testa mozzata si smarca dalle isole del Madagascar e sposa una turckmena in nozze coniugali per lettera epistolare. Una voce dal nulla canta una musica country lounge e mi racconta le sue esperienze di sesso nella prateria danese tra chitarra e mandolino, birra e pisellino. Ma è in Botswana che sono nati i Watussi? Così. Mi suona. Ma magari non c’entra un Kenya.
Scrosciano gli applausi tra spire di libidini biforcute e la voce suona e intona una marcia nuziale per cadaveri smartphonizzati che comunicano ma non comunicano, parlano e ascoltano il suono del silenzio rimbombare a campana in echi vuoti e spazi siderali senza ritorno né alla vita né alla morte e senza sapere se l’aldilà è ora o tra un mese e in fondo chi se ne frega.
Quindi balliamo la salsa di pera tra siringhe di pace e spruzzi di liquidi riproduttivi e lecchiamoci le orecchie mormorando parole d’amore bastardo per ritornare alle origini di un baccalà beccamorto che dipinge volti sereni prima di seppellirli e non riesce a dipingere quelli viventi che si muovono troppo s’innamora di una in coma. Una passione che dura una vita. E una morte.
Ma, in fondo, piango?
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Succo di pomodoro e basilico
Ora Giustino si ritrova a correre con una sedia in mano per salvare almeno qualcosa dall’incendio del suo ristorante. Sta cercando di portare fuori anche il frigorifero e la carne buttata lì sul marciapiede tanto poi si laverà e intanto le fiamme mangiano metro dopo metro e il fumo distrugge anni di lavoro e di risotto. Ma ora non c’è tempo. Non può pensare a ricominciare e non si ricorda se ha pagato l’ultima rata dell’assicurazione. Ora sta portando fuori un cameriere quasi in coma dalla tosse e una cliente bionda con i capelli in fuoco e la pelliccia piena di pomodoro. Mentre la sua camicia bianca sembra un colabrodo cerca di asciugarsi anche le lacrime che sgorgano da un disastro annunciato. Quella bombola di gas andava, andava cambiata. Ma forse non era stata la bombola. Da quando si era rifiutato di pagare la tangente alla mafia era stato avvertito. Ora che guardava da fuori vedeva che stranamente il fuoco si era spento prima di distruggere tutto e forse, forse permettergli di ricominciare, pagando, ma di ricominciare. Ma no, non avrebbe ricominciato per dare tutto a dei cani.
Un mese dopo puntuali come la morte arrivarono.
“Ciao Giustino, mi spiace per l’incendio”
“Dimmi che vuoi e lasciami in pace”
“Lo sai cosa voglio”
“Lo sai cosa avrai, no?”
“Giustino, ascolta, hai una famiglia”
“Appunto che mantengo a malapena, se pago voi chiudo”
“Non puoi non pagare, tutti pagano”
“Allora va’ da tutti”
“Giustino, io sono tuo amico”
“Allora ascolta. Tu non sei mai stato mio amico, lo sei ora perché devi fare l’esattore. Se no tanti saluti. Comunque ora guarda qui”
“E’ una pistola, scherzi?”
“Guarda te lo spiego subito”
Gli sparò a una spalla, così, senza tante storie, ma senza ammazzarlo, non si ammazza per così poco. Forse l’avrebbero ucciso. Forse no. Anzi si’.
“Sei pazzo Giustino, ti ammazzeranno”
“Lo so, lo so. Ma se non sgommi in tre secondi morirai prima tu”
“Pazzo, pazzo”
“Ciao Amerigo. Ciao, saluta a casa da parte mia, mi raccomando”
Se ne andò. E lui prese il treno e se ne andò in campagna. Quant’era fresca l’aria e caldi i raggi di sole. Che strano. Queste cose le vedeva da giovane. Era da almeno vent’anni che non ci faceva più caso. Ma se non fai caso a queste cose come puoi dire che vivi. No, non è vita. E non è niente. E per chi e cosa era morto? Sua moglie non vedeva l’ora di divorziare e avrebbe passato la vita a passarle alimenti. Allora sia che c’è? Perché un’esistenza da schiavo invece che una vita. Una sola. Quel poco che resta. A fare il cuoco da qualche parte. Che in fondo il ristorante l’aveva aperto perché era un bravo cuoco. Aveva voluto fare il manager, ma sai che rogne, poi? Se ne andava a fare il cuoco italiano da qualche parte, in Russia, poi in Giappone, perché no?
Non scese dal treno, non andò a casa a prendere i suoi affari, troppo pericoloso e troppe cose da spiegare. Una telefonata al figlio ogni tanto, ma era già grande, poteva prendere l’aereo per andare a trovarlo.
E allora via. Verso la libertà. Da quanti decenni. Da quant’eternità. Anzi, perché darsi la pena di scendere dal treno, poi? Tanto il vagone ristorante c’era da qualche parte e anche qualche cuccetta. E allora ciao. Ciao amore. Ciao terra. Ciao mafia. Ciao a tutti. Di cuore. Giustino.
Il vento e il paravento
Bianca danza un danza di disperazione pensando alla sorella morta in un incidente di auto due giorni prima. Danza e si muove nella stanza al suono del flauto magico che suona come una cornamusa una musica ipnotica e lei gira e salta e piange e le lacrime si spargono nella stanza a corpo morto su un cadavere che non potrà più tornare se non nei suoi sogni di bambina. In cui erano piccole e giocavano a chi era più brutta e a chi si truccava meglio. E ridevano come matte a guardare la faccia da strega dell’altra. E litigavano e piangevano per le pene d’amore e ora un pezzo di vita era spezzato.
Bianca sta ballando da sei ore consecutive senza bere né mangiare, ma non può fermarsi. Sente che se si ferma, muore. Finché il corpo si muove è viva e ha energia per il passo successivo.
La paura la fa avanzare e il viso di Elisa che le sfugge e vorrebbe stringere e baciare nella campagna con i lupi che miagolano. “Bella mia è stato un amore grande e fugace, ma non morirai finché vivrò io qui per te. La purezza che scorre in te è quella di un angelo che balla qui con me ora al suono di questa musica che ricomincia sempre, sempre uguale, sempre infinita finché morte non ci separi”.
Se, dopo dodici ore, il marito non l’avesse soccorsa chiamando un’ambulanza allora sì che la morte li avrebbe separati sul serio. Il coma che seguì le permise di comunicare con Elisa e di fare l’amore con lei un’ultima, eterna, volta.
Se Elisa non le avesse dato l’ultimo bacio e non si fosse staccata lei dicendole “Torna da lui, ora, lui ti ama, impara ad amare un uomo ora. Io ti aiuterò, ma devi, devi affrontare la vita. È stato bellissimo, ma tutto finisce e tutto ricomincia, come la danza, come l’amore. Io sarò con te e con voi, ma solo per un po’, poi me ne andrò là dove devo. Addio sorella, amante e sposa, un ultimo bacio, un ultimo addio e poi torna da lui e vivi”, se non se ne fosse andata via scomparendo, lei non si sarebbe mai più risvegliata. Tra le lacrime, ma risvegliata. Ritrovò cosi marito e figli, ma non lei, e si sentiva anche più leggera, e pensò che Elisa aveva ragione e sorrise, tra le lacrime, ma sorrise e abbracciò tutti come se fosse la prima volta.
Sciarada di spine
Un fruscio di mosche agita il mio cuore.
Mentre decido se mettermi un dito su per il naso o su per il culo mi trastullo il pene con la fantasia di una sciarada di leggiadre femmine d’arabia. Sono immerso in una piscina quando vedo una tempesta di sabbia e mille sparvieri all’orizzonte.
Sparvieri che piangono si prostrano davanti alla statua di un filosofo greco di nome akariokostoulos cibromante. E pregano il fato di liberarli dal coma serpeggiante nelle loro scimitarre che non bevono più il nettare del fuoco lento. Decido allora di dirottarmi su Arkaba e nuoto dove gli avvoltoi contano i morti di un bombardamento rivoluzionario con armi così intelligenti che hannno fatto esplodere menti fertili durante una partita a scacchi.
In questo parossismo di centimetri non mi gira la testa e non chiamo aiuto e non corro urlando nel deserto.
Là dove nasce la pioggia mi distendo e aspetto di bruciare al sole cocente ripetendo passi della bibbia infame davanti ai miei occhi.
Mi guardo allo specchio e mi spavento.