M’ingollo di roba da vomitare per essere sicuro di passare su trenini di gomma da brodo passato al passato presente futurista a cavallo di una moto da centauro centenario. Tornando da una casa infestata di topi e regine mi siringo una coca di eroina ed esplodo e mi frammento e mi rammento di una casa verdeggiante in mezzo a colli atipici bombardati di fresco e decorati da denti e gengive incastrati in alberi di ulivo che discende dolcemente verso il mare azzurro cresta di gallo.
Per questa ragione non vedo perché non pilotare sterchi di formula uno che viaggiano a velocita ventennale per poi posarsi su rami innocenti e fare il nido per allevare una prole di ragni rognosi di vedove vestite di nero che scopano castagni in fiore da una discoteca techno all’altra.
Lecchiamo un lecca lecca come si lecca l’uccello di un lavandaio accecato da una bestemmia tirata di sbieco in un momento d’incazzo solitario. E finocchi ciarlatani si masturbano con cavoli a merenda per dimostrare la loro lezione di omofobia sbilenca a coppie in cerca di uno scambio alla pari per oliare i loro organi epilettici con i liquidi di altri marziani in cerca di sturalavandini color arcobaleno.
Pieghiamo i gomiti e infiliamoci una mano in segno di saluto al Dio imperatore.
Archivi tag: coca
Gola profonda
A piedi nudi in centro città. Piange una capinera d’agosto. Tra trote selvagge che si urlano dietro rimpiange il tempo di una cantante lirica che dominava gli spalti di uno stadio gremito di giraffe e tacchini mentre gli uccelli divoravano le sue note e si nutrivano di radioattività genitale.
Prega Ira di un Dio a forma di pioggia che lavi questa fogna di color satellite e irradia il pane dei giusti. Arlecchino ride e salta da una tetta all’altra pieno di rane gravide che da un momento all’altro erutteranno una volontà di pietra dalle lucciole del suo cervello.
Bevono gli dei una coca a forma di cola liquida perché cola dal lavandino un liquido appiccicoso e verdastro che assomiglia allo sperma di rana ruvida e insaziabile.
Vogo una gondola attraverso l’oceano indiano. Mi sono perso. Ma finché il mare è calmo non mi preoccupo. Questione di fortuna. In rotta per l’Australia. In effetti British Airways mi costava un po’ troppo. Meglio un oceano d’ippocampi per ascoltare la musica del cuore di un delfino zoppo. E occorre camminare sulle acque di tanto in tanto per mantenere l’esercizio e allora amen agli dei dell’Olimpico.
Tanto per cambiare
Aulico bulimico si diverte nella pioggia dei colori bianco e nero in una musica psicadelica che sa di merda. Giuseppe non sapeva che sua moglie lo tradiva e che si faceva di coca. Cola s’intende.
Le erinni consumano il loro piatto abbondante di cevice peruviano e mollano peti senza pudore e sudano senza fetore. Il giro dei venti si interseca al pollo allo spiedo di mia madre che si ritorce le budella dal ridere mentre lei lo spenna lentamente. Penna rossa penna bianca, caro amico mi sento bene oggi, cerca di tirarti su il morale anche se muori in un’esplosione nucleare. Vedi che le cose cambiano prima o poi? Lo so moriranno anche tutti quelli che conosci, poco male, io no, e quello è importante quindi siine contento.
Allegramente il pazzo ride e va al cine Se va al cine guadagna un pollo spennato e arrostito, che ride. Non ha voglia di andare al cine. Ha la febbre alta, ma ha voglia di pollo che ride. Si alza e si trascina al cine. Ma davanti alla cassa scopre che s’è scordato i soldi. Torna a casa per prendere i soldi. Torna al cine ma il film è già iniziato, allora ne cerca un altro ma non ce n’è più. Piove e si bagna. Prende una polmonite. Torna a casa e cerca almeno di guardare la tele ma si addormenta e sogna un film. È la storia di una vacca che si chiama Vittoria che vuole rompere il muro del suono. Prende la rincorsa e si scorna contro il muro dove sopra c’è scritto “suono”. Ma si rompe testa e corna. E il muro le mostra il ditino. E ride. E anche il pazzo si sveglia ridendo alla grandissima. Tutto passato, polmonite eccetera. Allora va al mercato e si compra un pollo arrosto e la risata se la fa lui. Ora vado a lavarmi i capelli. Che puzzano. E anche tu faresti meglio a lavarteli. E anche a lavarti il culo.
Va beh.