Una grotta di merda si scioglie sulle mie braccia per cullare la via di un perizoma a cui cresce barba e baffi e un ballo al flauto di Pan di Spagna. Merletti e Merlotti scenderanno su di noi nel giorno del Natale e festeggeranno un inno alla paura del generale inverno, mentre i saraceni scorrazzano nel deserto di una mezzaluna decadente. Tra chiodi arrugginiti e figli di puttana e mogli coperte di vergogna di essere donne.
Tra i cammelli si leva un urlo in mezzo al deserto e prova a sganciare bombe di barzellette sconce che il correttore ortografico non accetta, ma prova a correggere finendo in carcere in una città costruita su un pianeta ai confini della galassia. È lì che si mangia il gelato migliore. Irrorato di raggi cosmici non filtrati, ma grezzi, ancora pieni di sali minerali e rabbia assassina in nome di Dio. Dio è unico, grande, così grasso che nessuno è più grasso di lui, o lei. O Dio è frocio. Forse per questo non si è mai sposato.
Un rinoceronte si guarda allo specchio e si mette un po’ di ombretto sugli occhi. Minigonna e pinne da sub. Stasera spopolerà al gran ballo delle quindicenni. Prende il treno per la campagna farnese e finisce di fare i gargarismi al cioccolato fondente. Si sistema il corno e gli fa una manicure. Stasera bacerà il principe azzurro?
Tra mal di denti e urla di pori scatenati una danza sciamanica inneggia al totem di plastica che rende la montagna sacra una discarica abusiva di una camorra con le penne e le pinne. E vampiri deformi danzano attorno a un fuoco. E zebre con l’aids e la varicella bruciano pongo targato adidas in mezzo a stelle cadenti per non morire di dolore.
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Coito ergo sum
Ero su una pista da sci e ruzzolavo a valanga per i sentieri dell’anima di una pantegana strabica mentre i miei occhi rilucevano di bianco latte al cioccolato fondente. Una storta. Una maledetta storta alla caviglia mi sbatte contro un sasso che finisce all’ospedale per trauma cranico. Mi sento responsabile per la vita del mondo minerale. E sono presente al funerale insieme alla vedova e ai parenti. Ma perché la Russia è la terra delle ghiacciate e la Florida la terra del sole insieme al Chad? Perché chiamare Sudan un paese in cui evidentemente si suda? E perché i fachiri sono solo in India? Mentre riattivo la presa di rete delle unghie di tapiro il mondo piove e la zingara balla.
Siamo insieme nella sala da sballo di un limpido oceano pacifico che accarezza il viso di una spiaggia alcolizzata da qualche parte in Nuova Zelanda e uccide il limbo dantesco di Paolo e Francesca per atterrare nella gestione a distanza di un sito web dedicato al delirio senza speranza e senza faccia tra due montagne che si guardano in cagnesco.
Una gatta passeggia sul tetto che eccita i suoi sensi animali e si fa penetrare da un camino spento e sospinto dalla forza del vapore acqueo tra quadri di fiori di loto e gelsomini sdolcinati che profumano di spermatozoi incontinenti. Un urlo e un getto di vapore al vulcano fiorito si sdraiano e si baciano tra effluvi di lava che lava la sporcizia dell’anima in una preghiera al lobo sinistro dell’orecchio della bestia innamorata con un coito vaginale.
I promessi sposi
Un carro di deliri si sposta nelle morti nere della peste bubbonica mentre i promessi sposi si baciano in un alone di luna bianca. Nella distruzione del potere si muovono anime di vita che mandano lettere di senso a babbo natale per chiedere un prestito per la casa. All’interno della servitù della gleba muoiono le zanzare del coltivatore diretto che si ostina a zappare una terra arida cotta dal sole d’agosto. Mi allarmo per una viticoltura che piega i chicchi davanti al trattore laser per giocare con i bambini dell’asilo in visita alla fattoria.
Dolcemente il sole risorge dopo la pioggia e accarezza i crani dissepolti per farli evaporare alla luce dell’amore. Phandertal si muove grottesco e grosso azzannando i resti putrefatti delle iene e si guarda intorno guardingo per evitare i guardiani del potere. Cerca di costruire una vecchia pistola con i resti di lattine di coca cola imbevute di cioccolato fondente. Bagna di escrementi aciduli al limone il sentiero verso casa in un vecchio edificio di anidride carbonica solitaria.
Cerca di non tornare dai suoi piccoli a mani completamente vuote ma ride davanti a uno specchio in perfette condizioni che gli dice che non è più in giacca e cravatta e che l’informatica non serve più a niente. Un airone telecomandato lo vede e gli spara. Dopo poco un altro ex collega passa e lo porta via per mangiarlo insieme ai conigli che ha catturato nella riserva di saliva galleggiante.
Un paparazzo immortala la scena e scrive un articolo al prosciutto cotto per la gioia delle adolescenti del potere che giocano con i trucchi dei Pazzi alla riscossa.
Bing bang bang!
Esplodo
e nasco con un rutto.
Un rantolio gorgogliante che determina la mia prima esistenza in questa dimensione.
E piango le prime e ultime lacrime.
E mi assento temporaneamente dalla vita.
E dalla morte.
Vago in un interstizio dimenticato dove passa una metropolitana rassegnata al fatto di non morire.
M’immergo in una bolla d’elio respirando a pieni polmoni, atrofizzati, mentre il pianto di un bambino lontano perseguita il silenzio dei miei cordoni ombelicali.
Vago nella città di un Dio minorato mentalmente che si serve delle sue serve per dormire sonni erotici praticando archi magici per esplorare il suo inconscio.
Fuggo davanti alle ancelle divine per rincorrere lo spirito santo sottoforma di patatine fritte.
Rido e m’ingrasso al pensiero di un rampollo di dio che salta e formalizza la sua libido in formati ergonomici tridimensionali.
Mi preparo un pesto alla parmigiana facendo fondere echi di trombe di eustachio.
Mi scende una lacrima e mi preparo a morire ballando il can can insieme alle majorette di Odino che si sta pulendo le ascelle col filo interdentale per assumere la forma di un orango tigrato con lo smoking ora che conosce i balli celtici.
Scende la notte e dorme il fato e io mi distendo serenamente per sempre con in bocca sapore di cioccolato fondente.