Cerco lavoro, ma non cerco un detersivo liquido.


Un pan di spugna si ginoflette davanti a Gino e succhia la linfa di una vita di pongo asciutto tra favole e prugne, gabinetti ed effluvi di goduria e fantasia. Ma, in fondo alla serpe cosa vogliamo cucire? Decine e decine di decine? No, perché non sarebbe corretto senza fare bene i conti della spesa. Una spesa lunga centinaia di anni luce, ma spenta. Altrimenti non si vedrebbe poi così bene. Che poi, anche così, non è che sia una gran gnocca, ma comunque.
Proprio volendo anche su un’auto il rombo di una carrozza si schiatterebbe nel canale di una giungla ripiena di mascarpone, ma anche così non ci se ne esce, anche perché la giungla è un bosco un po’ vivace e piena di formiche bianche, rosse e verdi. E quelle verdi ti fanno un culo così. Ma dal ridere eh? Che poi altrimenti mica si piscierebbero addosso. Loro e quegli elefanti dei loro genitori. Che quando rodono una quercia si chiedono se andare in vespa non li farebbe andare al cimitero più velocemente. Come una mente che si legge nel cervello. Voglio dire, mica ci vorrà molto a una mente per rodersi il cervello, no? E quindi, se anche fosse ? Avresti qualcosa da ridirci?
Io no e comunque non me ne frega perché l’unica cosa importante nella vita è uno che osa. Cosa, non importa gran che, ma osa, come una virgola che si sposta dalla parola , e sempre un po’ di più , e osano anche gli altri , dopo, anche i punti che si mettono a cavallo delle scoregge e delle virgole e le montano ; e le scopano nella posizione del missionario ;;; finché non saltano fuori da una finestra di ginestre e gli fanno una serenata di quelle vietate dalla SIAE.

Gaia


Una gaia giornata di ottobre si scioglie nella vagina di una neonata. Bao. Patapum bum bum. È un’eco nella mia testa in una giornata di rosa spina. Pesca pescatore nel brodo primordiale. Pesca sardine cieche e falle soffocare all’aria aperta. Mesci l’Unto del Signore con le cipolle. Una moneta d’onore rotola per terra e tocca l’anima di un ubriaco. E il salto del drago si effettua senza interruzioni del server.
Le monete tintinnano nel mio cervello e ritmano una musica rap che mi dice che il denaro non serve. Sento il vento delle cipolle soffriggere con l’Unto extravergine portare una bolla alla bocca e dire “Sollazzami” in aramaico. Era quella parola che gli disse Ponzio Pilato, ma mai riportata dai Vangeli 2.0. Benvenuto ad Atlantide mi dice il pazzo che ride a crepapelle mentre pende da una corda medievale sulle pendici dell’Etna. Era felice e ora è morto felice. Alcune vite servono da esempio, alcune morti servono per combattere il colera ed è per questo che oggi giochiamo con le biglie di una corazzata Potiomkin.
Il server è ripartito e io mi alzo con la sveglia incorporata e una musica classica che suona il rifugio degli stolti in un cimitero di dormiveglia e le previsioni del tempo pessimo e le notizie di crisi economica e i morti palestinesi e allora mi chiedo se il pazzo non fosse più sano di me.
Una corsa contro la morte per una giornata di desideri inappagati davanti al mio migliore amico che mi guarda freddamente e mi serve un tè freddo alla pesca sciroppata e io mi chiedo “chi è la più bella del reame?”

Nero d’Avola


Un corno infelice si distacca dalla mensola del ghiaccio e divide i sorrisi tra due ali di api polverose e ridenti.
Mi agito nella culla di un neonato alla ricerca del fallo di Venere.
Il campo minato di un barbiere pazzo si distacca dalla barriera corallina e scivola allegramente tra pali di miele e api polverose.
Dodici cassette spettegolano sulla dodecafonia dell’opera di Vivaldi.
Sei vecchiette fanno a gara per masturbarsi davanti ad un pubblico di mucche.
Il sadico gioca a tressette col morto e mette un accappatoio alla granadina di pulegge e crisantemi prima di andare al cimitero dell’auto.
Un elefante da corsa si cimenta con i Lego e costruisce un pisciatoio a forma di figa di elefantessa tra pulegge di scorta e conifere al sapore di rosa pallida.
Esco dalla fucina di Odino per la pausa pranzo e rammollisco le case di paglia del sedere del cane di Dio.
Pufff.

Il delirio del manzo


Metto il piede su un delirio di Alfonso che urla la propria pazzia in un deserto di formiche morte. Si chiama cimitero, mi fa con aria di monello e occhi iniettati di ketchup. È un odore che fende l’aria con un sapore di piede tumefatto dal pongo marrone scuro, molto scuro come se fosse stato soffritto per dieci lunghi anni. Sa di aglio. E pesa. Il tumore inserito nell’ugola di un soprano da circo si rivela una ricetrasmittente di Dio che ascolta i meandri del diavolo alla radio mentre si sofferma nel perenne orgasmo che libera agenzie di viaggio per trip di eroina.
Scimmie danzano nel mio cervello per battere una discoteca di monete d’oro in fondo al pisello di un pulcino adiacente. Mi sparo attorno a un quadro che si assopisce alla vista del sangue di un toro deforme mentre la poolvere di corna si sparge nella sala del museo di marionette veneziane che singolarmente profumano di api punk. Gli uffici colorati si riempiono di tacchi a spillo che corrono tra mazzi di fiori blu da un giardino di cemento all’altro togliendosi occhiali e inginocchiandosi davanti a pannolini sporchi di sesso e potere. Giovenche si pesano le mammelle di terracotta per liberarsi l’anima da secoli di vestigia dorate.
Durante feste di mausolei anemici porgo le mie scuse a maggiordomi in livrea argentata che schiude funamboli omosessuali tra le viscere di un drago a due teste e due croci. Palandrane di manzo in scatola si muovono tra feroci puttane in calore che violano il segreto del piacere tra un’ottava di godimento e una sinfonia di Sciubert.
Ciaikovschi era gay, ma questo si sa.

Il cimitero delle stelle


Le api estraggono il miele dalla fontana della giovinezza che si deduce dalla simpatetica commistione di angeli e risotti al radicchio. Due samurai si sfidano con asciugacapelli tra i denti e giocano a ping pong con una pallina di plutonio arricchito. Una roulette russa, per dire. E una lacrima scende dal cuore di una donna che passeggia sotto lampioni ricchi di solitudine e silenzio. Nell’oscurità il silenzio si muove e danza un tango accompagnato da lunghi squilli di tromba cadente come stelle che si danno appuntamento al cimitero vicino alla chiesa sul colle. Nel silenzio cadeva una lacrima che inumidiva un suolo ormai secco come l’anima della statua che vigilava sulla piazza di chi non dorme mai ma non esiste nemmeno. Fantasmi di sogni e incubi si gettano su quella goccia di vita e dolore e ne bevono il sale e l’acqua mentre il grido delle trombe si sparge nell’eco delle montagne intorno. Un sospiro di sollievo si leva dall’oceano di anime che a cascata ringraziano il diavolo e lo mangiano spalmandolo su burro e miele in ossequio alla danza delle rondini.

Cimitero rock


Un killer della memoria si sparge come olio su una farfalla araba e a occhi chiusi spira tra le fauci di Odino. Voci di ragazzi implorano il cielo per una rivoluzione silenziosa mentre gli occhi scoppiettano come fuochi artificiali. E il pubblico osanna. Osanna nell’alto del cielo. Un concerto di voci spaccano il fondo di una bottiglia mentre io scoppio a piangere. Il dolore del mondo celebra la propria gloria. Mentre il cuore scoppia di risate allegre e si consola con una palla di chewingum.

Andiamo e vinciamo al suono di una chitarra. Ma andiamo dove? Andiamo e preghiamo una poesia rock.

Evviva Bambi e Babbo Natale.  Fluida energia che scorri dalle mie mani e purifichi la mia anima come acqua benedetta. Un suono d’amore sa di cioccolato.

Rose rosse e cioccolato sono il profumo dell’amore. Un amore rock.

Divino verme che strisci sotto la terra e ti nutri d escrementi putrefatti. Sei il suono silenzioso della natura che lacrima e vive. Tu mangi i morti e vieni mangiato dalle piante che ci nutrono. Senza di te non ci sarei io. Non posso non amarti, anche se mi fai oggettivamente schifo. Ma questo è l’amore. Sangue di lacrime riflesse sull’acqua.

Cimici che scorrono in un pozzo di petrolio che canta un inno nazionale della nazionale di calcio. Forse un giorno potremmo urlare di nuovo Forza Italia.

Al grido di un osanna che ritma una musica tecno io vi saluto vermi della terra che leggete queste divine stronzate e viaggiate con me nei meandri della pazzia.

E ridete piangete e godete e morite e vivete. Nell’immenso gioco di un verme. Col silenzio di un blues balla dentro di noi e ride. Come un pazzo che ci mangia il cervello a uso e consumo del dio dell’infinito. Bevo vino e schiaccio pesci con i piedi.

E mi curo con il ghiaccio dei sensi.

Ed ecco che la luce divina soffoca l’immensità del corno di un rinoceronte alla carica.

Mentre lo guardo mi domando come mai i programmi televisivi della fine del mondo sono finiti. In fondo, chi non si è addormentato la sera prima con quel dubbio solleticante che chissà, forse forse, non si sa mai, e se fosse vero? E se fosse per domani. Perché un giorno la morte arriverà. Ridendo come una pazza. Ma arriverà. E allora siamo, pazzi. Siamo, quello che siamo. E basta. Solo così potremo fregarla. Diventando più pazzi di lei. E di quel verme che mangia. Che ci mangia. E che ci caga. Escrementi di verme siamo. Merda di verme ritorneremo. Ridendo. Sotto la pioggia di un cimitero.

Benvenuti nel delirio.

Benvenuti nel sospiro di un alito di birra.