San Carlo su butta a nuoto nella riforma del titolo cinque della costituzione delle vanità per esercitare il proprio diritto sul nutrimento delle anime. Pensa di essere un ridente scoreggiatore che vaga nel meandri dell’anima mundi ma scopre di avere un diesel al posto del motore a scoppio e piange lacrime di spermatozoi deficienti. Ma non si dà per vinto. Si rialza e pugna dal Manzanarre al Reno e prende a cazzotti i senatori del Paradiso.
Fu così che passammo da una Repubblica all’altra e a un’altra ancora mentre l’ancora di salvezza venne gettata nel mare del peccato. Un pesce palla passava da quelle parti grattandosi i testicoli e mangiando coleotteri giganti e pensando che la moglie lo tradiva con un pescecane guercio. E si ritrovo immerso in guanti di Giamaica e torte di Salonicco mentre san Paolo predicava ai pescatori e alle prostitute di immergersi in acque tropicali. Si mise gli occhiali e votò una serie di referendum sulla modifica genetica della pastasciutta.
Gene gnocchi mi appare in sogno e mi dice che la Madre di tutte le cazzate mi benedice e mi protegge dalle rogne rossonere e tifa per me. Mescoliamo i mondi e puliamoci con la carta igienica per purificare la gotta prima di entrare in chiesa e inneggiare la comunione dei vinti tra strati di bulimia e torte al cioccolato soffritto.
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Mi stiracchio in una giungla disabitata
Mi guardo i piedi gonfi di orgoglio e me li massaggio con striature di grigio. Ormai “sfumature di grigio” ” forza Italia” non si possono più dire senza evocare strani sentimenti a curvatura nucleare. Durante un chewingum di strutto rosa penso alle cazzate di pinguini arrostiti in sale semicurve che sgommano su processi di prostitute organizzate e amanti urogenitali che si prostrano al Priapo di turno. Guardo le mie unghie colorate di verde pisello e mi chiedo dove saranno spostati i canguri di domani e se potrò mai guardare la luna da un pianeta del sistema solare di Alpha Centauri. Che bel nome. Chiamerò così mio figlio, un giorno. Quello che avrò da una formica aliena in un’astronave di miele cosmico col quale leccherò e mi farò leccare in un fuoco artificiale di vulcani e ossimori adiacenti.
Perché mi mordo il labbro superiore destro e intingo le parti genitali su carboni spenti di lava che non lava? Perché non demordo dal rincorrere una berlina bionda e aitante che sparge il sugo del proprio pomodoro su calli veneziane tra sparvieri neri e gondole in ricordo di felliniane capinere (giusto per Tilla).
Armi di Teodorici villano nel viatico suburbio in cerca di molle aspidi che segano corpi mutanti di coleotteri gay. Io li osservo entrando e uscendo dalla loro storia per andare in bagno a provare orgasmi anali in posizioni tricolori. Cerco di convincere i miei eroi a condire un’insalata di struzzi con armi leggere che possono vincere la guerra dei mondi infernali tra Erinni lesbiche e esodi di ebrei sciolti in una giungla di acido solforico.
Il sessuale abbraccio delle parole
Una stringa di caratteri si avvolge al mio corpo e ne cerca i meandri più genitali. Mente sapendo di mentire e sussurra all’orecchio quello che voglio sentire. Maestra della strada e cibo di un fantasma che si materializza in mezzo a neuroni cerebrali finché morte non ci separi.
Una mente che serpeggia sinuosa intorno all’albero della vita tra i pilastri di Salomone che ascende al cielo in mezzo a strade tortuose di tartarughe lente e sagge.
Dio mente perché solo così può farti arrivare alla verità. Disse luce e luce fu. In principio fu la parola. L’abbraccio mistico di un delirio onnipotente. Un pazzo bambino che giocava con una penna a sfera. Un orgasmo liquido che ha creato il vino e lo spirito. Un abbraccio rettilineo che ci guida verso una luce orgasmica. Una luce che gioca con Dio riformulandolo geneticamente.
E io scrivo una marea di cazzate. Ma divine. No?