Un’aria profonda rialza la cresta in una fuliggine sensuale che sale al cielo dalla vulva di un caminetto acceso che brucia vizioso.
Seducentemente mi avvicino. Una gatta maliziosa mi guarda e geme con lo sguardo. Mi lascio avvinghiare dalle sue parole oneste. E una cartolina miliardaria appesa ad un quadro mi avverte della pericolante scala a chiocciola dei suoi pensieri. Eri una cara micetta, pensai dopo lo sparo.
Eccomi al porto a pensare ai miei pensieri in un fiume di desideri che pescano allegri banchi di salsicce di grasso di liposuzione acerba. Siamo in una fase beta della nostra vita caro bullone che mi leggi. E nella tua testa svitata s’insinuano pensieri cornuti. E tu sei contento di somministrare alla tua pisella il nerbo aitante di un muschio agitato che ti agita i sogni e ti fa vedere la verità.
La verità fa male. La verità non si dice mai. Perché bisogna vivere col senso di colpa di non dirla. Così si crea la paura. Così si crea il potere. La verità è un clistere di fieno messo a maggese e ruttato fuori con il mosto dell’uva marcia.
Mangia la carota. E vai a dormire.
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Il kharma della pantegana di bronzo
Un ufo robot d’acciao prende una cartolina e la scrive a una pinta di birra che soffia vorace una pantegana sifilitica. E gratta la pancia a un orso di coca cola che perde la voce tra rantolii di sangue alla menta piperita. Avendo mangiato peperoncino a colazione emette polvere da sparo a forma di yeti.
Peli di donna mostruosa intersecano la violenza di un palloncino colorato di rosso cocomero nel cielo azzurro che romba i pistoni di un ginocchio artritico.
Masturba il cetriolo di metallo spugnoso i vermi giganti in un lago di cori gregoriani tra centurioni di sperma che affluisce a gocce nella cascata del mago Merlino. Rigurgiti di dinosauro si spargono in mezzo a laghi di sangue di placenta e il grande ballo delle capinere dirige il valzer delle candele tra ioni di sodio e cloruro di patata fritta e soffritto di godimento lento.
La santa messa di un anatroccolo a forma di sformato decodifica il linguaggio dell’eremita in cima alla torta di zucca vuota e mi ricordo del Messia che mi diceva che in vita non aveva mai visto una tetta al vento. E gli dispiaceva. Povero Cristo. Faceva pene.