Abbracciamoci come una cotoletta stanca.


Carlo Emilio Lepido si distrae durante la marcia nuziale su Roma per guardare Benito Mussolini e pensare a quant’è brutto. Quant’è brutto il casolare di via Peschiera Vecchia, che sembra che mentre lo demolivano, hanno cambiato idea e l’hanno lasciato lì come un animale ferito e menomato a chiedere di tirargli il colpo di grazia e invece no. Chi ci piscia, chi ci fa l’amore, chi ci gioca a nascondino e chi ci dorme. In realtà, in fondo, anche io ci vado a masturbarmi tra una cotoletta e l’altra.
Ieri i miei incubi mi hanno fatto la grazia e mi hanno appoggiato per un dolce risveglio tra ombre di pini in calore e rododendri di maggio che riempiono l’aria di effluvi rinascenti e posticipanti che si tostano il pan grattato. Una fetta di formaggio riempie l’aria di una pasticceria a cui manca l’aria. E il mio micio bianco che fa le fusa all’interno di un forno a duecento gradi mentre il suo pelo diventa nero. È così carino.
Vedo due diversi pianeti: uno che vede al di là dell’oscurità e l’altro che balla una danza saracena piccante. Mi eccito tra salami fosforescenti che mi cullano e mi seviziano ridendo e raccontandosi barzellette religiose e mi sciolgo in una poltiglia di baccalà urlanti per divorarmi le gengive tra conati di peste e rivoli di sangue nero. Che nero!
E quindi tu. Dimmi un po’. Perché? Non perché “cosa”, Perché e basta. E rispondi senza tanti giri di parole. Senza paura. Senza palle.