Eresia di un pipistrello


Le ali di un pipistrello svolazzano su una farfalla in calore. Misuro la febbre della Matrix e la temperatura fonde la barriera del suono mentre Rossella gioca a roulette e sbava su caccole di prosciutto vergine.
Considerando le caramelle cadenti nella notte delle stelle aggiungendo il gerundio condizionale in una mossa di judo cretino.
Il campo da calcio si estende al di là delle aspettative solitarie e costituisce un’immersione in piscina tra foche partorienti che guardano il concerto di Justin Bibier.
Una foca cornuta masturba le corna di un cervo volante mentre le palpebre di un lettore si chiudono in un solenne Ave Maria.
Un canto si leva nel carro funebre e colora di giallo la corona di spose sorridenti.
Scivolano sulla passerella di sangue di lucertola e si seppelliscono in una fossa comune.
Il forestiero chiede l’ora a un tombarolo e viaggia alla velocità della luce per illuminare la strada verso il paradiso. Seconda pozza a sinistra dopo l’inferno.
pipistrello
farfalla

Cacofonia


Gestite il suono del silenzio con una patata in una manto e un mantello nell’altra. Il silenzio ascolta e perdona. Il silenzio è tuo amico e fratello. Fratello di sangue perché sei nato nel silenzio e dal silenzio provieni. La tua carne non parla né il tuo sangue. Il silenzio dello spazio è eterno ma parla un linguaggio che solo il silenzio è in grado d’interpretare. Ascolta il silenzio e scoprirai quello che cerchi. Per ascoltare devi stare zitto. Il silenzio è tutto quello che sei e che hai paura di essere. Se scorreggi fallo silenziosamente. Se scopi piangi in silenzio. Non scoprire la coperta del silenzio. Perché quando sarai pronto si scoprirà da sola e ti apparirà vergine ed immacolata pronta per essere tua. Perché sei tu.
Anche uno sputo può fare troppo casino. La cacofonia di un villaggio turistico mi sussurra all’orecchio il suono della madre terra. La cacofonia di una musica rock stende un velo di catarro sui miei neuroni affaticati da una notte di marijuana da leoni. E panzer di sintetizzatore uccidono le zanzare a colpi di fulmini e caramelle.
Mi chiedo a che scopo viviamo e uccidiamo e moriamo e risorgiamo e dipingiamo e moriamo e scriviamo la nostra biografia su una croce di salnitro piantata ad eterna memoria. Ma me lo chiedo perché la risposta non esiste e la domanda resta là come una bella donna che ti guarda dal bordo di una miniera abbandonata mentre tu cerchi te stesso e scappi da un’esplosione di grisou prima che ti esploda in faccia.
Ed è lì che prima di morire ascolti il suono del silenzio che cala prima sui timpani sfracellati dall’esplosione e poi ti addormenta in un sonno profondo finché non incontri angeli e porci che ti hanno accompagnato e l’unica cosa che ti chiedi è se hai mangiato abbastanza cioccolato dato che non lo ritroverai più in nessun’altra dimensione o pianeta dell’universo.
Oggi piove e l’acqua è l’unica essenza che può disturbare il silenzio, perché ne fa parte. Anch’essa è silenziosa e anche la terra. E quando un silenzio incontra un altro silenzio fa un suono sordo anche se forte che ti aiuta a prender sonno e a calarti nel silenzio prima che diventi eterno.
Sto immaginando come cantare in maniera silenziosa per fare un coro degli spiriti della terra che volino sbattendo le ali di farfalle agitate dallo stress informatico. Anche il computer fa poco casino. Lui ti guarda come il genio della lampada e ti chiede quale desiderio vuoi che esaudisca.
E prego.
In silenzio.
Gli spiriti.
E ci faccio l’amore.
In silenzio.

Aglio, prezzemolo e…cipolla.


In una giornata di sole, Irina passeggiava col marito passeggiava per le vie del centro di Bruxelles, col marito a forma di pesce. Vagando senza meta si ritrovarono al Musée de Cinema a guardare un film a base di caramelle alla pesca vestite a festa.
Il marito le allungò una mano sulla coscia e avanzò al centro, ma lei gli rimise la mano a posto con un certo disgusto.
E videro Il film fino alla fine come due bambini che mangiano pop corn.
Il marito si fece avanti per baciarla a bocca semi aperta, ma lei si ritrasse. “Togli le tue manacce dal culo” e se ne andò via stizzita.
A casa nessuno dei due parlò e, in cucina sapevano entrambi che erano condannati a ritrovarsi nel letto.
“Perché mai due persone che non si sono parlate tutto il giorno, si devono ritrovare a dormire insieme. Voglio dire io volevo dormire insieme a qualcuno se veramente non potevo staccarmi da lui. Fondermi a lui, questo era, è la poesia del dormire insieme, non come due stoccafissi” pensava mentre tagliava le cipolle per piangere senza dare spiegazioni. False. “Siamo falsi, ecco la verità. Dieci anni e oramai siamo diventati due cartucce vuote che non hanno più polvere da sparo. Involucri. Scatole da scarpe vuoti buttati in un magazzino”.
Fu lì che le lacrime divennero talmente intense da non farle vedere più tra la cipolla e il dito e si ritrovò col dito sotto il rubinetto e un cerotto e con la voglia di ficcare il resto del coltello nella pancia di lui.
Ora che se n’era andato di sopra poteva piangere tranquillamente e odiare e uccidere.
Le emozioni si impadronirono di lei. Le emozioni, una voce dentro le disse “Obbedisci e ti farò stare bene, ma se non obbedisci non ti darò pace”. Ripensò al film, alle caramelle, ai petali di rosa che si spargevano sullo schermo di cui una volta lui le aveva ricoperto il letto e avevano fatto l’amore, veramente. Anche ora avrebbero fatto l’amore, ma il rosso non sarebbe stato quello dei petali di rosa. “Grazie, voce, m’hai dato un’idea magnifica, ti amo”. Raggiunse il marito a letto. La stanza era buia.
Sollevò le coperte. Di lino, color pesca con alcuni disegni di fantasia, comprate in India.
Lei si era innamorata della loro semplicità e della morbidezza, lui le aveva sempre odiate.
A lei faceva piacere che lui le odiasse. E ci dormisse dentro.
“Fingi di dormire, ora farò finta di svegliarti”.
Senza tanti complimenti gli prese in bocca quel piccolo verme legnoso che sapeva di piscio rancido. “Sento odore di cipolla” fece lui, “Sarà che l’ho appena tagliata”, no era il coltello che lei stringeva nella mano sinistra, mentre con la destra seguiva i movimenti avanti e indietro della bocca e gli accarezzava i testicoli “È il mio primo pompino alla cipolla” fece lui.
Non si parla con la bocca piena, pensò Irina, perché sentiva qualcosa nel tono del marito che la faceva contrarre lo stomaco di nausea.
Strinse l’impugnatura del coltello da macellaio e andò avanti.
Ci fu un lungo silenzio e lottò contro la voglia di staccarlo a morsi, mentre con la mano continuava ad accarezzargli le palle.
Sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe assaporato il suo liquido caldo e perciò non le dispiaceva tanto, anzi, mentre lo ingoiava, si sentiva come con la coscienza a posto.
Le aveva sempre detto che desiderava morire scopando. Beh, più di così non poteva fare, in fondo meglio che niente. E poi non gliene faceva uno da almeno sei mesi.
Ora.
Dopo che gli aveva succhiato fino all’ultima goccia e che il verme era ridiventato molle come una patatina piena d’olio.
Ora.
Rialzò la schiena e gli passò la mano destra sullo stomaco peloso e prominente di chi ha già mangiato abbastanza in questa vita ed è ora che restituisca tutto alla terra.
Ora.
La voce la comandava come un soldato “Stringi il pugno, solleva il braccio, abbassa il braccio sul bersaglio con tutta la forza, con tutto l’odio, con tutta la disperazione”.
“Domani è S. Valentino e …” Irina si fermò a due millimetri dall’ombelico.
S. Valentino? Non glien’è mai fregato niente di S. Valentino, cosa vuol dire?
“E…?” fece lei?
“E ho prenotato un viaggio per noi due”,
“Un viaggio? Io e te?”
“Beh, sì, non ti va?”
“D…dove?”
“A Procida”,
A Procida s’erano conosciuti sotto un temporale in una grotta dove s’erano rifugiati e avevano parlato anche dopo che il temporale era finito
“Perché?”
“Perché ti amo ed è da un po’ che mi pare che le cose vadano così così, e magari lì abbiamo voglia di parlare di nuovo, chissà, magari durante un altro temporale”
“Uccidi o non ti darò pace” le diceva la voce, ma le emozioni non erano più quelle di prima, il braccio era già appoggiato al materasso, e le lenzuola di lino color pesca le sembrarono d’un tratto troppo belle per essere inondate di sangue.
Magari con altre lenzuola, un’altra volta.