Cuore di donna


Mi crogiolo nella sofferenza di un pollo fritto che fugacemente guarda una capinera che violenta un passero da strada e le mie emozioni vanno su e giù, giù e su e da est a ovest ribollono in pentola tra Erinni urlanti che piangono e avvolgono il cielo con gli occhi per farne una benda per un neonato e lo donano a un padre in fasce. Una casa nella prateria muove milioni di costole di animali stanchi di essere sospinti dal vento di un flauto magico e di ballare senza sosta. Auguri amici miei e Buon Natale, con famiglie di colori che possano liberarvi dalle paure di un topo bianco impigliato in una ragnatela notturna. E svegliarvi assonnati ma felici dopo anni di torture e pantegane e prostitute piene di salici piangenti.
Morite per rinascere in un anno di Babbi Natale che non ti faccia fuggire da responsabilità più grandi di un papavero che fuma oppio e fuliggine d’industria siderurgica in un atelier di pittura classica. La musica suona il suono delle parole che penetrano nelle mie vene sempre più lucide e portano con se stelle cadenti che colorano un Natale estivo fatto di luci e abbronzature in spiagge dai seni pelosi.
La serratura del mio cuore è un universo di donna che prega notte e giorno in ginocchio su un altare di sfighe che le trapassano il cuore con cunei appuntiti e le fanno scendere lacrime di ragù fino alla vagina che le riassorbe in un ciclo di vita e di morte e di sentimenti di sesso e foglie autunnali. E, e, e, e tante cose che passano in un’anima sporca e innocente. Una bambina che gioca nel fango e si diverte senza sapere cosa le resterà incollato addosso. Prega e si sposa senza sapere cosa le resterà incollato addosso.

Conati? Sì, dica trentatré.


Ammazzo un cavallo e torno. Mentre mio marito si trastulla il pene con una sudafricana di cape town io posto un importante fiume congolese sul mio blog e decifro le tredici bare che volteggiano sulla mia testa per atterrare in una capanna solitaria e fare l’amore col pastore di anime. Una vulgata che si adegua al matrimonio delle cause civili non può dirsi veramente surreale se non lecca i piedi alle suole ammattite di una capinera.
Trentatré gatti si masturbano in coro sui tetti di una parrucchiera mentre prova le parrucche alle malate di troppa carità per affondare un martello sulle spalle di Batman prima che si trasformi in un vampiro e poi in un pipistrello sorridente che fa il ditino.
Una nuova Zelanda vogliamo. Che ci protegga dal massacro che si prefigge la baronessa rossa che ci guarda dall’alto del cosmo in tunica e mutande dal cui buco passa una lunga coda da lucertola marrone e nera.

Tacchi a spillo di un rododendro in fiore


L’odissea di una pera matura si distende in un lago di cigni omosessuali. Perché la vertigine fa amicizia con una capinera? Me lo sono sempre chiesto. In fondo non tutti i tori si accoppiano con le mucche. E in fatto di corna Antonio ne sa qualcosa. Antonio è il nome della mia scimmietta.
Sogno il rumore di una wii rosa fuxia e volo tra uccelli di rovo pungendomi le ascelle pelosamente odorose. Per quale ragione vedo un highlander smontare da cavallo in mezzo alla tundra di un piatto di lenticchie fuori di senno? Se glielo chiedo continuerà a vivere in eterno e a farsi tutte le prostitute dello spazio tempo? Mi perdo in mezzo alle domande di un castoro con la dissenteria orale e m’infilo di tacchi a spillo per la mia passeggiata serale nel letto coniugale.
Quindi, in pratica, tutto per dire che, insomma, alla fin fine parliamo di riforme. Sì perché se la gente muore di fame la cosa importante è regolarizzare le coppie omosessuali. Questo noi vogliamo portare avanti. E indietro. E avanti. E indietro. Per sempre. Finché il buon Dio ci darà il buon umore noi scenderemo con la nostra slitta dal palazzo del ghiaccio e svenderemo le renne di Babbo Natale all’outlet più grande d’Italia in modo che tutti pensino di aver fatto un affare a comprare cibo di qualità a poco prezzo. Il potere logora. Chi non ce l’ha.

Pino si è forato un occhio che sanguina e diventa grande


Un plico abbandonato si masturba sull’orlo del marciapiede in attesa di un traffico di droga che lo uccida definitivamente. Aggiungo un urlo di piacere ad una voce stonata che canta una canzone degli scarafaggi in suono beat. In ogni canto polacco c’è una torta che alza la gonna al cielo e scorreggia guardando l’inferno in cielo. Il fisico sardo di una capinera che gioca col coltello tra le gengive di un coccodrillo sfugge improvvisamente dalle mani sudate di un rospo. Cazzo, fa in un coro gregoriano in un sottofondo di sintetizzatori che fumano maria.
Vorrei un bloody mary che è una forma particolare di marijuana che quando la fumi cola sangue dalla sigaretta. E quando ti fai uno space cake arraffa i crampi del tuo stomaco per farne salsicce affumicate.
Mi dolgo e mi contorco nella colpa e nel perdono di un serpente acquatico che sforna torte al cioccolato dalle sue spire color lampone affumicato.
Respiro il profumo di osso di un cadavere caduto in trance in seguito ad un’overdose di ecstasy e finito in paradiso per errore e lì è infelice perché non ha amici né famigliari, ma si vende ogni giorno perché tutti lo reputano fortunato. Fin quando il tempo non finirà.
Un alito d’olio vergine recupera un ostaggio di terroristi buddisti che circolano in un’aureola discendente fino allo spazio onnisciente con un dio ignorante che si fa bello davanti allo specchio per essere adorato dalle creature del napalm
M’inchiodo ad un televisore a schermo piatto e ovale in una sesta dimensione delle ovaie di una puttana uomo che fino a ieri credeva di essere solo gay. Il dentista gli consiglia di mangiare più lentamente i cazzi di struzzo perché rovinano i denti e le gengive.
Un suggerimento si scioglie davanti a milioni di telespettatori perché tanto non lo ascolta nessuno e si appisola e evapora con la lentezza di una patata per diventare fritta e resta a mezz’aria pronto per essere respirato da un bambino saggiamente educato e che si eleva al cielo per tre giorni e per altri tre giorni impara posizioni erotiche in un’astronave aliena di passaggio e piena di turisti pensionati. È importante che i vecchi hanno molto da insegnare.
Fu così che Pinocchio diventò adulto. Facendo l’amore con la fatina dopo averla sequestrata nella pancia della balena.

Gola profonda


A piedi nudi in centro città. Piange una capinera d’agosto. Tra trote selvagge che si urlano dietro rimpiange il tempo di una cantante lirica che dominava gli spalti di uno stadio gremito di giraffe e tacchini mentre gli uccelli divoravano le sue note e si nutrivano di radioattività genitale.
Prega Ira di un Dio a forma di pioggia che lavi questa fogna di color satellite e irradia il pane dei giusti. Arlecchino ride e salta da una tetta all’altra pieno di rane gravide che da un momento all’altro erutteranno una volontà di pietra dalle lucciole del suo cervello.
Bevono gli dei una coca a forma di cola liquida perché cola dal lavandino un liquido appiccicoso e verdastro che assomiglia allo sperma di rana ruvida e insaziabile.
Vogo una gondola attraverso l’oceano indiano. Mi sono perso. Ma finché il mare è calmo non mi preoccupo. Questione di fortuna. In rotta per l’Australia. In effetti British Airways mi costava un po’ troppo. Meglio un oceano d’ippocampi per ascoltare la musica del cuore di un delfino zoppo. E occorre camminare sulle acque di tanto in tanto per mantenere l’esercizio e allora amen agli dei dell’Olimpico.

Il grido di un’aquila


L’abbraccio d’un’anaconda è flessibile in termini di baci e di limoni. Io metto in subbuglio una parte del mio cuore per gridare al mattino una favola d’agosto che possa penetrare nel lavello di un capostipite calvo. Esprimo in termini di succo d’arancia una cantilena d’autunno sciorinata da una lavandaia durante una pioggia settembrina. Le parole scorrono come sci in una cascata di ribes e le immagini si fondono. Dissociamoci da vulcani di maccheroni al ragù e proniamo la causa della capinera di ritorno dal senso di una sibilla in calore. Perizomi aritmetici stimolano le mie papille gustative che si prostituiscono con gioia davanti al sesso di una cioccolata fondente.
Mi accarezzo il mulino a vento che si trova all’altezza di un capello che muore dal sonno e piango per la gioia di un giorno di riposo, un lungo riposo, un giorno lungo un’eternità che vale un crisantemo.