Una vera birra da smaltire in un lago di sangue e mezzo, mi chiesi adoperando un dromedario secco per sturare una bottiglia di shampoo al tabacco. Certo, mi dico, urliamo un vituperante ronzino che soggiace allo spirito sadomaso di un rettiliano cosacco col bacco e co la pipa fumante di olio di candeggina che si avvicina, che si avvicina. La neve si lava con la pasta dentifricia di una zolla di terra e mostra la partenogenesi di una cataratta sinuosa e sensuale molto in voga nei bordelli parigini insieme al can can. Il tutto durante una messa mormone a Westminster Abbey dopo aver dato la mancia ai rabbini affinché promulghino i decreti di Allah e scrivano una Medina con francobollo di pelle di tapiro.
Io mi lecco le palle di tapiro al forno collezionate in un’urna santificata dal beato extravergine d’oliva che menziona a memoria la divina commedia per un pelo di tacchino.
Un ebano e un avorio si coccolano a vicenda in un siluro di scorie antinucleari e pastiformi quando le braccia mi calano attorno allo sgombro a forma di Zorro. Una ciliegia che corre addosso ad un labbro di donna mercurio che passeggia attorno ad una fermata dell’autobus notturno. Mellifluo. L’odore della striscia di profumo che si lascia dietro come una lumaca che ondeggia lentamente le sue cosce lunghe e carnose.
Puddu si masturba sulla luna.
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Bing bang bang!
Esplodo
e nasco con un rutto.
Un rantolio gorgogliante che determina la mia prima esistenza in questa dimensione.
E piango le prime e ultime lacrime.
E mi assento temporaneamente dalla vita.
E dalla morte.
Vago in un interstizio dimenticato dove passa una metropolitana rassegnata al fatto di non morire.
M’immergo in una bolla d’elio respirando a pieni polmoni, atrofizzati, mentre il pianto di un bambino lontano perseguita il silenzio dei miei cordoni ombelicali.
Vago nella città di un Dio minorato mentalmente che si serve delle sue serve per dormire sonni erotici praticando archi magici per esplorare il suo inconscio.
Fuggo davanti alle ancelle divine per rincorrere lo spirito santo sottoforma di patatine fritte.
Rido e m’ingrasso al pensiero di un rampollo di dio che salta e formalizza la sua libido in formati ergonomici tridimensionali.
Mi preparo un pesto alla parmigiana facendo fondere echi di trombe di eustachio.
Mi scende una lacrima e mi preparo a morire ballando il can can insieme alle majorette di Odino che si sta pulendo le ascelle col filo interdentale per assumere la forma di un orango tigrato con lo smoking ora che conosce i balli celtici.
Scende la notte e dorme il fato e io mi distendo serenamente per sempre con in bocca sapore di cioccolato fondente.