Il presidente felice


Piersilvio si mangia un piatto di tagliatelle alla puttanesca ripensando alla domenica di sesso sportivo sulle sue reti da pesca di triglie televisive. Uno stupro punitivo di capre indiane si allinea con la visione di una democrazia diretta alla famiglia di pescatori uccisi dai pirati malesi. Ci masturbiamo sul treno dell’italicum che collega Arcore con piazza Fontana e Emilio Fede con la femmina rubacuori del grande fratello della sorella della zia di mio nonno.
Mi succhio un pollice e guido felice nella poltiglia della fantasia mentre un leopardo in doppiopetto riforma il senato e gli italiani in bolletta osservano con orgoglio le psicoseghe di squali che aspettano con rassegnazione l’assalto alla cittadella. Se non hanno pane dategli lasagne, urlò la presidente della Camera alla folla di sedimenti ruttati da un vulcano in calore. Ancora oggi festeggiamo i resti lasciati dai cani affamati che risposero all’appello.

Oh yes!


In un guizzo senza tempo butto via una forchettata di conchiglie raccolte da Marina sulla spiaggia del Kilimangiaro (riscaldamento climatico, sapete com’è). Lei sorride e si gira verso di me per sussurrarmi il suo amore rancido all’orecchio. Allora annuisco e le dico che l’amo anch’io. Un tempo l’amavo. Ora sento che amo di più il cane. E questo vuol dire qualcosa. Qualche volta lo preferisco anche, fisicamente dico. Mi chiedo se anche questo sia un segnale. Un semaforo, tipo.

 

Nuoto tra le transenne di una manifestazione di mutanti colorati di rosa e mi faccio spazio tra tanti gnomi di metallo plastico finché questi non si mettono a usare armi psicotroniche e la manifestazione si addormenta. Si sgonfia come lo sfintere dopo un peto di un minuto e mezzo.

 

Sbircio una cantante lirica ottantanovenne masturbarsi nella sua camera da letto, allora busso alla porta come un forsennato quando sta per venire, le dico che suo marito è stato trovato con la bara scoperchiata nell’atto di bersi un succo di pompelmo rosa. Arrestato.