Mi sveglio dalle quindici mani che mi toccano durante la notte e sogno palle di spiedini arrostini che mi imbavagliano i piedi e impediscono loro di urlare intanto la sveglia grida e gracchia come un corvo stupido. Melenso si iscrive a un corso di scrittura e veleggia verso lidi incantati da lucciole a pagamento. Per forza mi siedo ai piedi di un tronco di senzatetto e raschio la mostarda dalle ghiandole salivari di una pantegana zoppa. Grido nel buio di un deserto delle salse tartare e guardo le bolle di pus scoppiare nel silenzio dello spazio di una tempesta solare.
Leggendo l’odissea galleggio nella flottiglia di asparagi che trasmettono alfabeti Morse agli egiziani in guerra con la patatina fritta che li ingloba in un tubo di cemento che misura ventisette once di farina all’uovo. M’infilo quindi in una doccia dissacrante e controllo il capostipite delle lettere dell’alfabeto sotto vuoto spinto. Un Eros saltellante e una Psiche sull’orlo di una crisi di nervi ma saldamente.
E tu amico mio. E tu e noi. E voi che ci guardate giocare con le carte da tressette. Un movimento assurdo ma contento. Che si crogiola di sedicenti avvenimenti che portano a reggersi sulla punta di una sedia. Che un rivolo di cacca scivoli dalle tue labbra mentre porti sulle spalle i peccati del mondo, ma non capisco perché perdonarli, solo perché non sanno quello che fanno all’interno di un codice binario. Solo gli idrovolanti sanno quello che fanno. Allora perdonami sempre.
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Fiori e cascamorti
Intreccio le dita di file di fiori su catene spezzate e una voce da bambina mostra il suo corpo nudo sulla catena appesa da una prigione di cacca.
Novecento si immerge nell’ultima onda d’acqua e nuota con i folli presagi di un pianoforte che lo insegue e lo suona alla velocità di una sciarada di vespe che cantano una lirica di parrucchiere.
Intreccio peni e salami in un salumificio giapponese dove scorrono le rotaie dei sensi sottoforma di peli pubici attaccati a manette che pendono dal soffitto e fruste che accompagnano dolcemente le fusa di una gatta strabica che non riesce a leggere i promessi sposi senza piangere di gioia durante la peste bubbonica e spera che muoiano tutti i personaggi tra urla e spasmi notturni.
E urlo svegliandomi all’imprevisto in mezzo a saggi urlanti che urlano in coro un Amen alla prateria notturna e vagano lentamente con la coda a forma di cactus tra porcospini e iettature di zenzero a pomice atomica
Funghi si spargono in tutto il mio corpo e prendono possesso dello Stargate del senso, ma no, non cercare di trovarne uno, no, non farti venire il mal di testa, no, non uno, ma centomila, centomila lire, ti ricordi? Quando eravamo ricchi con centomila lire? E un ghiacciolo enorme ne costava cinquanta? Medioevo dice Felice e ora siamo costretti a comprare lo smartphone per risparmiare sul computer, e lecchiamo l’i-pod al limone e scarichiamo una app per farci avere un orgasmo così risparmiamo sui ristoranti di S Valentino. Sbattiti una lacrima amore mio.
Avanti tutta!
Una terra in ginocchio mangia come una rana in calore, no? Ora mi spiego meglio, anzi no. Va bene così.
Un andamento lento di dodici prostitute minorenni si fonde meglio all’aria fetida di un incendio doloso in una boscaglia di corvi immaturi. L’innocente aria d’autunno sferza l’incosciente onda azzurra che si tinge di un rosso sangue senza gettarsi a terra in uno stato di abbandono molecolare.
I cavalieri saraceni si sarebbero indignati di fronte alla mole di lavoro necessaria alla costruzione delle piramidi di cacca necessarie alla costruzione dei grattacieli che crollano al primo soffio di vento.
Un alito di feci intestinali che travolge autopompe in sosta davanti ai macellai di persone inermi. Augusto Ride si domanda se sia giusto o meno una rivoluzione in salsa tartara che faccia tabula rasa dei conti e dei marchesi della santa alleanza. Ed Eros Ramazotti canta in sottofondo la sogliola marinara. Tutto bene.