Cara Ninina morire d’inverno non è un gran che. Una misura di tè che non calza al mio piede. Uno zoccolo duro d’elefante che struscia la vagina contro un albero del tè. Per sacralizzare una cerimonia che dista mille chilometri di asia e inferno. Una castagna circoncisa mi sposta da una parete all’altra per assaporare la ghisa che pende dalle mie labbra sensuali di pantegana suadente. Così voglio essere ricordata ai posteri, come un’ardua sentenza. Forse sbaglio?
Un protocollo di pagine di frusta scende dal cielo con la manna degli ebrei e rotola verso fiumi d’inchiostro per mostrare la retta via al dio della pagina bianca. Che in fondo non si scompone e mostra il fianco a diverse interpretazioni. Una coccinella si innamora di un bue e spara fuori il minitauro, un toro con le ali di farfalla, ma che quando si fa una sega fa piovere per una settimana. La chiamano “manna dal cielo” e se la mangiano tutti quando fanno un crociera nel mar rosso.
Un atavico senso della paura pervade la schiena di un topo di appartamento finché non si trova faccia a faccia con uno squalo tigre che gli chiede una penna per disegnarsi un paio di baffi come dio comanda. È così che diventano amici per le palle e partoriscono conigli di serra bonsai che ridono a ogni barzelletta che gli racconta berlusconi. Una tragedia greca si abbatte su questo mare di salmoni che piangono dalla gioia di un impatto con la topa morta di salsa ketchup e pantegane puttane.
Ma in fondo quale può essere il trend ascendente di un morto?
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Il gallo canta due volte (e poi rutta)
Mi rachitizzo in una rucola acida di saltimbanchi col palinsesto fuso da orecchioni vampireschi e corna fritte.
Antonia si sforuncola un abito da notte di lino pregiato e condisce la pasta di vermi froci in zuppa di lenticchie lesbiche che sognano di essere un cane pieno di pulci che si masturba davanti a uno specchio deformante. In un’orgia di pleniluni Antonia sfoggia la conturbante pelosa alla festa della civiltà che si tiene due volte l’anno alla faccia della crisi dove il vello d’oro celebra la propria sensualità davanti a una folla affamata.
Urla di avvoltoi piangono gli sfarzi dei tempi andati e rivolgono alla Madonna la preghiera di una dolce gabbana che si satolla la vagina del fuoco dell’inferno e bacia pudicamente la bocca di una vergine sifilitica.
Bravi. Complimenti vivissimi al coro di pavoni sconsiderati e allegri che raccolgono voti per contribuire a spargere la fame nel mondo e ad imbandire la propria mensa alla quale accogliere i poveri a Natale.
Antonia alleva la prole in un pollaio di sterco di bue e gioca al gratta e vinci. E canta.
Parto-risco tra i fiori. Un unguento si affaccia
Una saponetta bagnata usata come proiettile di rana viscido e salivare lecca i miei timpani mentre sento una spada lacerare le mie pene d’amore fecale. Penso e parto-risco un tempio di eunuchi da frutta appassita e il drago dell’orologio si pulisce i denti con lo stuzzicadenti.
Un sapore che sa di fragola bagnata e lucida. Un fiore appassito ma selvaggio che cerca una regola del gioco per potersi installare nel sistema di videogiochi di un adolescente annoiato ma superbo. E la vita scorre nel suo tempo e nella sua banana. Un negozio di ferramente si dimentica di preparare la torta di compleanno per le vittime di Marzabotto che cantano a squarciagola dall’aldilà celebrando un passero di birra oltre i limiti del sentiero tracciato dall’umana gente.
Sento un colpo di frusta su un corpo straziato in fondo al vicolo cieco. Il corpo di un umanoide cieco che incontro tutte le mattine alla macchina del caffè dell’ufficio dove passo la pluralità delle ore dello spazio tempo allocato alla mia persona da un demiurgo disoccupato in cerca di vanagloria intessuta di melassa al carciofo.
Un aereo cade sul palazzo, un aereo pieno di sterco di bue di Corinto in viaggio per mettere il bollino del made in Italy prima di essere venduto sotto forma di yoghurt alla pesca. Una giornata di lutto viene dichiarata rutto nazionale e i bambini possono bruciare le scuole e gli adulti pisciare sugli amministratori delegati, per far sì che il debito venga condonato in un giubileo hippy davanti alla platea di woodstock. Un inno di sangue, di rosso liquido che cola dal sacrificio inutile dell’umanità in una macchina fuori controllo che perde pezzi di titoli del tesoro dei pirati della droga afgana.
Carlo si disperde in una nuvola di fumo per dimenticare se stesso e il seno che lo allatto’ come un gatto che miagola alla luce della luna.
Filippo discende dal cielo resurrendo per portare la parola divina tra umani ingabbiati dall’ignoranza. A dire che in fondo al tunnel c’è luce, quella mai vista, ma sempre raccontata.
E che ci amiamo nel sangue e nella guerra.
Perché l’amore è una patata che si coglie con una mano che sanguina e la si mangia con la buccia e quello che fa, fa. Anche se fa ridere.
Anche se non fa ridere.
Anche se fa morire dal ridere.
Mangia marmellata di spine di rosa pallida
Un letto di spine s’eleva sul mio sogno mattutino e cola sangue nel gabinetto elettrizzato di ricevere la musica di un sitar.
Vedo cumuli di terra viaggiare nella moltitudine di carte credito scadute e grandi chiavi grandi come bambini di dodici anni godere di bambine cadute dal cielo da paracaduti a forma di feti multicolor comprati a una bancarella del mercato delle pulci dell’aviazione.
Vedo. Vedo luci abbaglianti sulla testa di Cordero, il mio collega d’ufficio, alto un metro e un tappo e che come al solito compensa l’altezza con la carriera. Ha degli occhi che mi ricordano Tom Cruise, ma si chiama Chris Pioggia. Come nome potrebbe far carriera in politica o nella mafia americana. Come tipo ha voglia di tirare cazzotti a destra e a manca ed è divertente anche quando s’incazza. Che ti azzanna la caviglia e non la molla più. Cerca di sedurre un’altra collega la quale gli ha fatto capire che non cerca uomini sposati. Ma mi chiedo cosa gli avrebbe detto, o dato, se fosse stato uno e ottanta.
E piove miopia in un ufficio che suona chitarre rock da mane a sera. E dove ciascuno mangia briciole di potere come formiche affamate che cercano di costruire il proprio feudo. OMMMM my friend.
OMMMM anche a te. Che leggi e che speri. Che preghi e che non sai dove andare e cerchi come me. Un dio o una banana che ti guidi in una foresta di Satana tra una sniffata di cocaina e un capo in giacca e cravatta. Inginocchiati davanti ad un cantante di pietà e puttana. OMMMM amico mio.
Che il sitar dell’attenzione discenda su di te e risvegli la fortuna delle larghe intese per colmare il deficit di attenzione che caratterizza il tuo cervello mentre ti masturbi guardando una lingua di bue a doppia coda e frustandoti con un gatto a nove.
Apri il frigo e gli animali morti ti salteranno addosso mentre una voce indiana ci masturberà i timpani. Solenne stupido che ti gratti mentre leggi e mangi polpette di calli e duroni divertiti di essere stati allevati a grasso alcolico e canti d’opera fiamminga.