Mi piego e amo accarezzare la pelle di un organo sensibile. Che mi parla di piacere. Che mi parla di salsa piccante in salsa di tonno maturo, ma non troppo. Adoro civettare con pesci palla e lasciare che mi massaggino le labbra di un rosso vivo. Un rosso che diventa fuoco di paglia. Un’adolescente che stira le camicie. Una puzza che viene dal suolo. Un pozzo di petrolio che rigetta fiotti di camicie nere in mezzo ad una gola che ingoia e digerisce. Tu mi ami e io ti odio. Questo dice la bibbia e il nostro Dio, ma in fondo anche lui è una mandragola in calore che non sa dove trovare pace se non nella preghiera di un dio più grande di lui.
Mi butto in una costa concordia che affondando guarda il suo schettino e lo appende all’attacca panni per usarlo come bersaglio delle freccette del luna park. Un dinosauro evirato che mi saluta paracadutandosi è simpatico come una patatina col ketchup ma sinceramente meno appetitoso. Di conseguenza mi chiedo perché non votiamo per una politica del marchese del grillo? Se si tratta di uno scherzo abbracciamoci in una carnevalata da sandwich goliardico che salta da un trampolino all’altro in modo da avere un orgasmo acrobatico. Sogno mari melensi in salsa di triglia mentre lacrime sgorgano dai miei piedi per aver combattuto la guerra della passione cosmica senza aggettivi fritti.
Detto tra noi sono stanco. Di una vita e di una morte che ammorbano un’esistenza piena di carote lesse e patate in calore che non chiedono che di accoppiarsi e ancora e per sempre. E fili elettrici salterebbero agli occhi per mostrarci lacrime di dolore e risate di compassione. Tra violini tristi e forchette di musica colossale mi chiedo perché una sensazione di gotta al pavimento non arrotoli un piatto di spaghetti attorno al collo di un impiccato per aver rubato sei cervi nel giardino del re.
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Sciarada di spine
Un fruscio di mosche agita il mio cuore.
Mentre decido se mettermi un dito su per il naso o su per il culo mi trastullo il pene con la fantasia di una sciarada di leggiadre femmine d’arabia. Sono immerso in una piscina quando vedo una tempesta di sabbia e mille sparvieri all’orizzonte.
Sparvieri che piangono si prostrano davanti alla statua di un filosofo greco di nome akariokostoulos cibromante. E pregano il fato di liberarli dal coma serpeggiante nelle loro scimitarre che non bevono più il nettare del fuoco lento. Decido allora di dirottarmi su Arkaba e nuoto dove gli avvoltoi contano i morti di un bombardamento rivoluzionario con armi così intelligenti che hannno fatto esplodere menti fertili durante una partita a scacchi.
In questo parossismo di centimetri non mi gira la testa e non chiamo aiuto e non corro urlando nel deserto.
Là dove nasce la pioggia mi distendo e aspetto di bruciare al sole cocente ripetendo passi della bibbia infame davanti ai miei occhi.
Mi guardo allo specchio e mi spavento.