Neve


I nibelunghi conquistano il deserto di Nurghi sembrando falchi che anneriscono campi bruciati di peste e sperma di elefante. Vedo cani latranti senza pelo né orecchie che danzano su ossa di segretarie vestite di blu. Vedo schermi di computer che osservano la scena annuendo compiaciuti mentre aquile strabiche li masturbano accarezzandoli.
Mentre il vento freddo spazza il cielo dal fumo di merda secca la pioggia lava i peccati di Sade che sale dal mare sotto forma di spirito epico che canta una zirudela. Il cocchio reale si trasforma in una patata bollente e ride della passeggiata. Undici e quarantotto, il tempo scorre al passo di coccodrillo e t’inghiotte in mille pezzi se non scappi urlando in scatole cubiche che ballano la polka a ritmo forsennato.
Ti amo bambolina che urli. Stralci del tuo dolore s’impossessano della mia anima e il cane urla in un orgasmo della vita animale. Piedi camminano in un fango ossessivo e la paura fornica con la biada nel palato di un animale del Congo che salta sugli alberi e mangia banane. Scimmie che cantano arie della Turandot. Citando versi dell’Orlando Furioso in latino. Un’immagine innevata, neve, si scioglie lungo le nevi del Kilimangiaro che mangia chili di pasta al sugo Barilla. Un’innevata, neve, piccante scivola lungo il palato fino all’esofago. Ed esplode in fuochi artificiali.
Un gesto disossato s’incunea nel vasto occipite occidentale e rema contro vento per giungere alla terra di Erik il vichingo.

Le anime di Tamerlano


Mi cospargo di dolce Avogado le palle ultime di un’esperienza in cielo guardando il mondo sommerso di anime purgate che si preparano a cambiare dimensione adiacente. Cospargo nella loro mente il dolce sapore di melma e pus che discende nelle narici e avvolge le loro presenze di gatti dal pelo irsuto. Le volpi guardano attonite lo spettacolo e si preparano a mangiare i resti di corpi semoventi che urlano la loro acidità tra figurine di calciatori e prostitute in attesa dell’autobus che le porta al dormitorio algerino.
Dodici ciclopi mi fanno compagnia. Discendono dalla nobile casata degli Asburgo. Sono stati allevati come fratelli insieme ai maiali di periferia e clonati con le tecniche low cost di Ryanair per nutrire i passeggeri dei loro stessi escrementi. Il sistema ha avuto grande successo e ora la loro carne è venduta nei migliori ristoranti di Spagna e del Mar Morto.
Raccontami una storia dolce dea della pastasciutta. Una storia che coinvolga i telespettatori ad un’esperienza di orgasmo collettivo e spinga le vendite della Barilla attorno alla Santa Comunione di una famiglia felice e senza pensieri perché chi compra la Barilla scaccia i pensieri come i mercanti dal tempio e si sente un po’ gesucristo. Oppure un povero cristo.

Una canottiera bucata


Il solletico mi raggiunge nell’intimità di una pandora attinente al genuflesso. Lui o esso attiene al campo della meditazione trascendente. Trascendente il piatto barilla. E prega un quarto d’ora che lo faccia respingere i conati di vomito provocati da eccesso di zuppa di intestino di vacca.
Una ragazza sogna il princi. No. Una ragazza sogna. Ecco. Sogna e si tocca. Si tocca e mostra il ditino bagnato al principe dei suoi sogni. E il cane annusa il fiato che puzza di cagna in calore e si libera dalle catene del senso di colpa e procede all’investitura regale della bella cagnetta. Pensieri che giacciono sotto la sponda di Saturno. Pensieri che si librano in un water che sprofonda nella diarrea di uno stufato di mamma tua. Codici genetici si modificano mentre spediscono il curriculum per diventare dei buoni soldati al servizio di chi li sevizia. Ed è per questo che il lavoro rende liberi. La libertà non si compra. La libertà si soffia su un alito di vento. Quindi la morte in una nuvola di nebbia spiove dolcemente su un sito web e la scorza della casta non serve per fare una spremuta di limoni acerbi.
Guardo la pioggia e penso che non c’è niente da pensare e mi gratto i coijoni sotto quest’afa nordica che sa di puttana soffritta. Una spremuta di tette in bikini. E piove sempre di più. E non penso. E ascolto il trapano che perfora la mia mente senza fare troppo casino. Ma comunque un po’ sì.