Passo da una montagna incantata a una spazzatura riciclata tra diverse esalazioni di muffa di pecorino con la diarrea. Perché in fondo la dicitura “torno subito” non specifica quando è che le normative europee non lo richiedono con sufficiente accento sul PIL e sul POL che è aumentato considerando anche droga e prostituzione, e magari il traffico di organismi umanoidi modificati geneticamente.
Una musica inossidabile fa breccia nella mia mente di neonato asmatico e ritrovo il polmone d’acciaio che mi permette di urinare in faccia ad un dinosauro zoppo, ma è una bambola di mia sorella. Una musica latente fa breccia nelle mie vene auricolari e mi chiede di essere più produttivo ma senza sottolineare che mi piace sciare. E pisciare.
Volo in una bara splendente e rido nelle nuvole di fumo di marijuana statale che si leva da ciminiere di cani drogati di spine dorsali di elefanti mai nati. E le nevi del kilimangiaro si sciolgono nel bacino di una prostituta che vuole i soldi di uno scudiero gobbo. E flirtano con le acque di scarico di un ospedale di gravidanze indesiderate. Lasciate stare i bambini e non montate le scimmie in una giungla di discariche illegali. Mangio il fumo di una droga rilucente che brilla nel mio cervello. Ed esplode in mille pozzi di fango chimico. Che cola dal mio naso in un fazzoletto griffato. E si addormenta al suono della Turandot. E dolcemente. In silenzio. Muore.
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La nuvola
Delirando si pescano pezzi di assurdi romboidali senza fondi di caffé.
Normalmente sbattiamo contro muri di pesce che peschiamo senza farci pescare.
Inga sta passando quella linea che va dal non aver avuto uomini al pensionamento.
La pelle stava lasciandosi cadere in un vuoto pneumatico. L’occhio rotondo di un azzurro sbiadito era mal sostenuto da occhiaie di lacrime antiche. I capelli biondi e tedeschi sembravano le pagliette con le quali si tira a sorte per la più corta.
Il quadro invernale era completato dagli angoli della bocca che is lasciavano cadere verso il basso. Anche il trucco era sbiadito. Mentre la vedevo di profilo davanti a me e dopo di lei le grandi vetrate del quindicesimo piano della sala riunioni. Mentre nuvole temporalesche sfilavano come a una parata militare, espressioni della nera potenza della natura io potevo immaginarmi il peso di un inutile seno che era completamente adagiato su un reggiseno asettico, con pochi fronzoli, messo li’ senza nemmeno più l’intenzione di far vedere un seno più grosso.
Inga era un fantasma fatto persona, diafano, contro cui le nuvole si mischiavano senza percepire che la materia era più densa. Perché in fondo era già una di loro. Una nuvola in riunione. Un’effeminato fantasma senza sesso, se mai lo ha avuto o usato. M’immaginavo una vergine appassita che da giovane doveva essere stata pure carina, ma uno di quei carini senza vita. Quella morte che già adesso si porta intorno come un’aureola sbiadita.
Forse la cosa più facile è quella d’immaginarla nella sua posizione naturale nella bara. Là dove non deve più confrontarsi con la densità della vita
Oh yes!
In un guizzo senza tempo butto via una forchettata di conchiglie raccolte da Marina sulla spiaggia del Kilimangiaro (riscaldamento climatico, sapete com’è). Lei sorride e si gira verso di me per sussurrarmi il suo amore rancido all’orecchio. Allora annuisco e le dico che l’amo anch’io. Un tempo l’amavo. Ora sento che amo di più il cane. E questo vuol dire qualcosa. Qualche volta lo preferisco anche, fisicamente dico. Mi chiedo se anche questo sia un segnale. Un semaforo, tipo.
Nuoto tra le transenne di una manifestazione di mutanti colorati di rosa e mi faccio spazio tra tanti gnomi di metallo plastico finché questi non si mettono a usare armi psicotroniche e la manifestazione si addormenta. Si sgonfia come lo sfintere dopo un peto di un minuto e mezzo.
Sbircio una cantante lirica ottantanovenne masturbarsi nella sua camera da letto, allora busso alla porta come un forsennato quando sta per venire, le dico che suo marito è stato trovato con la bara scoperchiata nell’atto di bersi un succo di pompelmo rosa. Arrestato.