Mi siedo su una sedia di eroina rossa per un aperitivo in un bar ansimante tra proboscidi di panna cotta. Gioisco al vedere una gazzella che incrocia le gambe e guarda la mia bottiglia carica di sperma filosofale. E gioisce alla vista dei girini che solleticano le frattaglie della sua specie in una carica colossale di veleno e di allegria alcolizzata. Mi guarda e mi si avvicina al galoppo per chiedermi “Avresti mica da accendere?” le sorrido e le passo una cornacchia pelosa che viene direttamente dall’Inferno.
“Mica avrai paura di volare tra le dita dei buoi?” mi fa con sguardo allupante. Io la guardo sprezzante e le allungo un panino sulla coda il che la eccita come un panino al prosciutto crudo con contorno di valchirie e mozzarella in carrozzella.
Mi allunga un diritto e un rovescio e capisco che vuole essere presa lì senza se e senza ma tra i caprioli incravattati e gli stuzzichini al veleno di topo gigio.
Non mi tiro indietro ma le tiro una coltellata al collo e ne faccio polpette in una visione della via lattea che non lascia dietro di se altro che scie di comete a forma di burro e salvia.
Mi accascio stanco tra formicolii di buchi neri e arrosti urogenitali per contenere la passione virile di un fungo atomico bello a vedersi e caldo di microonde. Ci baciamo ed esprimiamo un desiderio sul bancone del bar in mezzo a cani e porci che ci hanno imitato e leccato.
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Happy hour
Una voglia istintiva di succhiare la polvere di una cozza salmastra si fa strada dentro la galleria del vento ed emette un urlo di ghiaccio soporifero. Io mi disgusto di un malleolo gigante che cammina schiacciando la saliva di miliardi di coleotteri che ridono a crepapelle. Quindi dipingo e definisco l’immagine di Dio in quattordici punti cardinali che dirigono la rotta delle caravelle dei Templari verso la nuova Luna che soffia dietro arcobaleni di fuliggine microbica. Punto.
Anche la mia pazienza ha un limite. Un limite di 34 Watt e chiude e cuce e corre e piange e si dispera di vedere tapiri diventare liquidi e bonzi d’oro raccontarsi barzellette intorno a pranzi luculliani seduti sopra poveri culi rivolti all’aria in posizione supina.
Una stella suadente ci canta le sue libellule. Una farfalla ignuda si adagia sul letto nuziale in posizione di partenza. Dodici trippe si strappano le carni per dimagrire e lanciano le proprie frattaglie in una discarica mentre il popolo è affamato e si mangia quel che rimane. Un anello lessato fornisce tutte le proteine necessarie al buon funzionamento di un matrimonio senza che lo si colleghi ad un ristorante di qualità superiore.
La Madonna si prostitui’ per accudire la prole dato che il reddito da falegnameria non fu sufficiente e a Betlemme si organizzarono orge in onore della madre santissima che acclamavano il peccato originale in sostituzione della mela cotta con Eva e Marta e Jezebel.
Un fungo lungo un chilometro si erse dalla torre di Babilonia dove bruciarono con l’acqua pesante. In una mandria di giganti che cagavano oro liquido in un attacco di logorrea galattica.
Il bar sotto casa mi offre una cioccolata e la rifiuto perché mi fa schifo.
Ma pago lo stesso.
Una mancia da re.
Piove.
La dama delle famelie – Parte uno
Gira si gingilla le dita alla disperata ricerca di una pellicina da sgrattare o di un’altra unghia da mangiucchiare. È nervosa come una mosca che non riesce ad uscire dalla finestra e che impazzisce a forza di tirarci delle testate. Deve incontrarsi con Juan. Tira una di quelle arie tra di loro che non sai né come inizia né come finisce e…Beh, è anche in ritardo di venti minuti. Che già di per sé vuol dire che non la caga. No, perché lui, non dico che spacca il secondo, no, ma cinque, massimo dieci minuti e arriva, punto. Venti butta male.
Poi sorvoliamo sul fatto che lei era in anticipo di venti che ha passato a fare giri in tondo per la piazza cercando di arrivare in ritardo di almeno dieci minuti, arrivando poi col fiatone, perché poi s’è pentita e ha avuto paura che l’aspettasse lui incazzandosi.
In realtà teneva sempre d’occhio il bar anche a distanza, ma poi s’è distratta a guardare una borsetta in liquidazione e il tempo di provarsela allo specchio e parlare con la commessa e addio. È uscita ad alta velocità muovendosi come una ginnasta acrobatica per non travolgere nessuno e cercare di non dare nell’occhio (soprattutto quello). “SIGNORA LA BORSETTA!” le ha urlato la commessa davanti a tutti, mentre stava per uscire con quella nuova. Che fai, mica puoi pagarla, se no sembra che hai cercato di ciularla, meglio fare la stressata con un “Scusi, tenga, mi ridia la mia”, che vuoi farci, poi esci a velocità raddoppiata proprio per far vedere che eri proprio di fretta, mica lo facevi apposta. E poi cerchi di non pensarci e riga (ma poi ci pensi, hai voglia se ci pensi. Va beh). Poi s’è quasi slogata una caviglia tra i sanpietrini della Place St Jean.
Comunque ora è qui. Tra le luci di un bar vorrei-lounge-ma-non-posso e davanti alla sua infusione alla menta che fa digerire il niente che ha mangiato fino alle cinque di pomeriggio. Senza zucchero. Fuori piove. E fa freddo. E Juan è in ritardo di ventiquattro minuti. E trenta secondi. Venticinque, in pratica. Sì perché fa differenza tra ventiquattro e venticinque. Perché ventiquattro fa praticamente venti, ancora. Venticinque fa trenta. E trenta fa irrigidire lo stomaco ancora di più. Si guarda in giro sperando di vederlo entrare. Finché un minuto, dico, un minuto prima del fischio finale dell’arbitro sente “Ciao Gira, come stai?” “Ciao Juan, bene e tu?” traduzione, pezzo di merda ti caverei gli occhi “Cos’hai ordinato?” “Una menta” non lo vedi imbecille ci sono ancora le foglie dentro. “Buona idea, ma io ho un po’ fame. Ti va una torta al cioccolato?” “No, grazie ho già mangiato” dico non ti abbufferai mica di cioccolato davanti a me, no? di cioccolato poi. No non lo farai “Peccato, e ti va un gelato, una crêpe, o una meringa?” “No, grazie, veramente, sto bene così” “Che strano, in genere ti abbuffi, va be’ io resto sul cioccolato. Cameriera, una tarte au chocolat”. Mostro. “Di cosa volevi parlare?” “Che non sto più bene con te” “Capisco” “Credo che o la storia diventa un minimo seria o io non ho più voglia di continuare così dopo due anni” “Beh…” “E poi pensi solo a te stesso” “Perché?” “La sua torta Monsieur” “Grazie” “Ecco, per esempio” “Per esempio cosa” “Ti stai mangiando una torta di cioccolato davanti a me che non mangio niente” “Te la volevo offrire ma hai detto di no”. Lui pensa che lei è cretina. Lei pensa che con un imbecille così tocca di partire da cose più plateali anche a costo di esagerarle “E poi voti per Berlusconi” “Mi prendi per il culo?” “No quando parli di lui diventi arrogante e vuoi avere ragione a tutti i costi” “Perché, a te non capita mai di voler avere ragione” “No, mai. Cioè, non come a te” “Ah” fa continuando a inforcarsi un boccone dopo l’altro. Cosa che associata alla fame e al nervosismo fa incoscientemente flippare i diodi neuronali di Gira che vorrebbe tirargliela in faccia