Placido, ma perché?


Un erotico sciogliersi dei vegetali in questione mi porrebbe l’interrogativo di sottostare al placido dentista in questione. Il che è una questione da definire in quanto tale. Una preghiera all’Altissimo mi purga lo stomaco.
Un’autoipnosi intestinale che parla col colon-nello che impartisce ordini di merda a un battaglione di suocere in pacchetto regalo che abbaia come un branco di lupi impazziti. Notevole. Ma insufficiente per garantire lo svolgersi corretto delle elezioni. In una dittatura delle banane.
Sento un odore di cracker alla vaniglia. Fritta. Discorro d’ipotenuse ed ipotetiche sintesi delle grandi battaglie che hanno agevolato il fisco italiano nella preparazione del ragù alla bolognese.
Un ritmo di patate che non concede niente alla sufficienza del vento freddo che viene dal polo. Addio corrente del Golfo. Una nuova glaciazione testicolare si affaccia in un corpo affamato di energia.
Un gerbillo errante nella faccia di una vedova bambina che piange al ricordo triste della sorella morta in un tragico incidente d’acqua e freddo.
Una pantomima fredda e turgida si masturba il nasello cantando canzoni della resistenza.
Addio sirenetta che tu possa tornare nella terra della lupara bianca.
Una poesia che rutta sangue nuota nell’alveare del mio cuore e annega in un lago di petrolio condensatosi per resistere al freddo di una colica renale. Un arrosto di maiale richiede un apostrofo, il che è eccezionale ma normale nella sede centrale della banca dei peschi della monaca di Monza.
La carica di ben hur si staglia nel cielo di una balena bianca che piange e rivolge le sue spire verso un polipo marino che suggella un’ambientazione color corallo rosso sangue che ride e piange e va fuori di testa per una manica di barattoli alla ricerca della verità.
Un polo unito di prostitute e gay e mamme borghesi dell’alta società manifesta di fronte al parlamento per la liberalizzazione delle droghe pesanti, mentre il tamburo batte. E mi assorda la mente.
Mi metto il casco e muoio.
Per sempre.
Senza senso.

Bulimico


Dopo aver coltivato piselli per tutta la vita mi butto in mezzo ad un campo di banane che si danno battaglia e sottintendono un rifugio antiatomico. Mi perdo così in un sussurro antistante la comica padella mentre la pelle si stura i broccoli di pus che fuoriescono spruzzati via via sempre più su da conati di rabbia. È così che incontro un personaggio che plana nel cervello e romba e atterra anzi si sfracella al suolo. Era solo un personaggio venuto male, tanto vale farlo morire. Avanti un altro. Sento la puzza ancestrale rubare pezzi di rosso bovino ad un toro da corrida. E immagini che sanno di burro fresco si stagliano contro la mia pupilla oculare e prendono a danzare un tango argentino con una rosa tra i denti. Mentre un barrito d’elefante cosparge il suono di melodie acute.

E la notte scende a mascherare di spettri fantasie lontane di lontre e lapislazzuli annegati in acque preistoriche mentre il grande direttore d’orchestra dirige il vuoto pneumatico di una centrale elettrica in mezzo alla savana.