L’odissea di una pera matura si distende in un lago di cigni omosessuali. Perché la vertigine fa amicizia con una capinera? Me lo sono sempre chiesto. In fondo non tutti i tori si accoppiano con le mucche. E in fatto di corna Antonio ne sa qualcosa. Antonio è il nome della mia scimmietta.
Sogno il rumore di una wii rosa fuxia e volo tra uccelli di rovo pungendomi le ascelle pelosamente odorose. Per quale ragione vedo un highlander smontare da cavallo in mezzo alla tundra di un piatto di lenticchie fuori di senno? Se glielo chiedo continuerà a vivere in eterno e a farsi tutte le prostitute dello spazio tempo? Mi perdo in mezzo alle domande di un castoro con la dissenteria orale e m’infilo di tacchi a spillo per la mia passeggiata serale nel letto coniugale.
Quindi, in pratica, tutto per dire che, insomma, alla fin fine parliamo di riforme. Sì perché se la gente muore di fame la cosa importante è regolarizzare le coppie omosessuali. Questo noi vogliamo portare avanti. E indietro. E avanti. E indietro. Per sempre. Finché il buon Dio ci darà il buon umore noi scenderemo con la nostra slitta dal palazzo del ghiaccio e svenderemo le renne di Babbo Natale all’outlet più grande d’Italia in modo che tutti pensino di aver fatto un affare a comprare cibo di qualità a poco prezzo. Il potere logora. Chi non ce l’ha.
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Cogito ergo escogito
Girando escogito placidamente code di volpi argentate nella lunga pelosa giungla di corredi matrimoniali cuneiformi. Senso. Di cappotto acerula che s’avvinghia e dipinge multiformi ancelle di un dio a forma di piede. Leggerezza e santità chiuse in un chiostro si saldano sulla via di Medina, là dove lo schiavo arabo prega in tibetano cistercense. Pannocchia grigio ferrea ti scolpisci azzurra nella vigna della S. Maria Capo a Vetere. Trimezzana nascosta si spende nell’aquitrino palumbro e scontroso. Esse camminava sinuosamente nella vetta del ciel d’agosto. Sottane svolazzanti e tacchi a spillo. Ed esplode sotto i garofani e i tulipani splendenti. Soli e felici ci baciavamo tra granchi e pietre nella luna sfoggiante mille rivoli di iodio. Trafitto da mille frittate mi affliggo onesto e impietrito davanti a petulanti pentole gasate di vin santo e benedicente. Lauro si masturba mentre ride davanti a comici cornuti di bolscevici animali della prateria. Dopo si stira le camicie che il David di Donatello garrisce di sabbia incolta ed eterea.
Mentre raccolgo le spighe di una mamma furibonda, gli esseni accontentano una dolce figura dipinta in mezzo a mille occhi di nocciola e riso grezzo.
Schizza petrolio da seni rubicondi.
Schizza paura da animi inquieti.
Spazza giocoso seminando il pastore.
E giro in tondo attorno al castello di sabbia e ricordi poderosi esplorando la coscia di Elisabetta troiana al pisello.
Uggioso benedico il capitello di punta Iolana che scroscia lentamente su cime tempestose e gronda di ascelle terrene la ridda di granchi che si sgranocchiano per un tozzo di pane.
Pane di panna che si asciuga e rotola in un fil di rame disciolto in una stazione adiacente.