Corre una squadra di calcio dietro a un torrone rosso liquido. Diviene una porta di assegnazione il molliccio stronzo da tirare per segnare un punto in una torre di fango che scivola sotto i piedi di ventidue ragazzini con pelo e corna. I loro cuori hanno paura. Temono il Dio. Sopportano la malattia carnale con uno sforzo titanico. Una guerra ormonale si scatena all’interno dei loro corpi scoperti e denudati. Dei della stanchezza sommergono lacrime condensate di ornitorinchi grigi. Una storia di verdi foreste e alberi abbattuti come pilastri di una chiesa travolti da un maremoto grida la propria gloria passata e la linfa scorticata da una terra ancestrale che muta e si rivolta a chi non l’apprezza.
Piedi callosi tirano gli ultimi calci a una palla ferrosa di ruggine incandescente tagliandosi calli corrosi dalla lebbra. E ululiamo insieme a loro: mummie che governano il tempio della solitudine artistica. Una folla di gobbi applaude la sfinge che guarda tristemente una stella lontana pensando “casa” e aspettando di parlare alla sua mamma.
Mangio un cane arrosto nell’attesa di un pazzo intelligente che mi racconti una barzelletta che non mi faccia piangere e ascolto musica elettrica che stimoli le mie narici verso odori equipollenti a logaritmi che leccano seni e coseni.
Svengo.
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Bulimico
Dopo aver coltivato piselli per tutta la vita mi butto in mezzo ad un campo di banane che si danno battaglia e sottintendono un rifugio antiatomico. Mi perdo così in un sussurro antistante la comica padella mentre la pelle si stura i broccoli di pus che fuoriescono spruzzati via via sempre più su da conati di rabbia. È così che incontro un personaggio che plana nel cervello e romba e atterra anzi si sfracella al suolo. Era solo un personaggio venuto male, tanto vale farlo morire. Avanti un altro. Sento la puzza ancestrale rubare pezzi di rosso bovino ad un toro da corrida. E immagini che sanno di burro fresco si stagliano contro la mia pupilla oculare e prendono a danzare un tango argentino con una rosa tra i denti. Mentre un barrito d’elefante cosparge il suono di melodie acute.
E la notte scende a mascherare di spettri fantasie lontane di lontre e lapislazzuli annegati in acque preistoriche mentre il grande direttore d’orchestra dirige il vuoto pneumatico di una centrale elettrica in mezzo alla savana.