Il canto dell’orda


Una voce rosica le mie corde polmonari e frigge l’anima di un sopracciglio esuberante. Il crocchio vola trainato da cavalli bianchi in un cielo che si apre per farli passare e sparire dalla faccia della Terra. Io sono sull’altare di una chiesa e odo la musica del mio matrimonio cantare centauri di zucchero filato sulla torta nuziale.
Vuoi tu…, sì, no, non voglio, certo che voglio sempre e per sempre, finché la morte non ce la metteremo in tasca e vivremo per sempre in questa valle di cieli oscuri. Un bacio nella fantasia riempie il pubblico di mille colori arcobaleno che affrescano una chiesa, la santa madre chiesa, di tutti gli amori e gli onori che scorrono dall’inferno ad Adamo ed Eva.
Serpenti della conoscenza piovono dal bene e dal male, mentre cori gregoriani ritmano danze orgiastiche di cardinali e concubine e mucche da latte.
Usciamo sotto una pioggia di risotto ai funghi e pizze lanciate tra i denti e arrosti di prosciutto e su un paio di sci raggiungiamo la limousine che ci porterà in volo, me e la mia bella Pazzia, fino al prossimo delirio.

Polipo pulp


Livido sesso di una membrana di sangue si staglia sulla tela di un pittore bambino che succhia il pennello come fosse un pollice per bere il succo della materia divina. Si staglia sulla tela il processo effimero di una donna elefante che corre nuda nel deserto di amori e sapori laceranti e urlanti. Gode la città di spiriti maligni che voracemente ne mangiano l’anima e mangiandola diventano santi e sassi e rocce di smeraldo che dorme il sonno di un bambino defunto e risorto.

Prega mia bella la sorte rapita in un polipo multicolore che si mescola con se stesso in un universo senza tempo. Dove lo spazio racchiuso in una tela dipinge il seno di una puttana. I sentimenti si fulminano indecenti e carichi di alloro e spezie d’oriente che caricano un cavallo di putrido letame e ne affumicano l’incenso che sa di origano e cannella.

Walter si soffia nella pipa e aspira il sacro desiderio di una stella bruciante e immortale nei polmoni densi del fumo che droga il cervello e il cuore, mentre si spegne il cerino acceso dalla madonna di tutte le tele vergini e colorate.

Walter sogna il tempo che fu, un dio benestante dai mille coriandoli mentre ballava il carnevale insieme alla dorata criniera della sua bella Maria e l’amplesso godeva del momento senza un respiro che potesse librarli nel cielo di fuoco. Piangeva Walter nel mezzo di una masturbazione e l’amplesso fu un grido di dolore che fuggì dalle labbra e dalla gola, dallo stomaco e dal petto facendo tremare gli oggetti che ne temevano la potenza distruttrice.

Fumava, Walter la droga del cuore e della mente inebriata di follia alla sua massima potenza, mentre origano e cannella si spargevano nel seno della sua bella immortalata nella sua tela ad eterna memoria, a defunta memoria di vivi che non si danno pace, di morti che sono sereni. In una tela assente e presente a quel momento di vita, come un morto che ti guarda. E si chiede perplesso il perché del dolore.

La nostalgia di un ricordo si sparge nel vuoto di una camera oscura e rischiarata dalla luna che penetra nell’intimità di una grotta dei sensi. Mucillaggini di sterco la ricevono e sembrano più puzzosi che mai mentre Walter giace svenuto sperando di esser morto per stringer Maria almeno un momento. E la tela si anima e gli fa una grazia.

Risplende alla luna ed entrambi splendono nell’abbraccio immortale di un’anima che ora vive e si addormenta col suo sposo per un momento, calmandogli il cuore, calmandogli il dolore, benigno tumore di un tempo che fu e non tornerà mai più. E una lacrima scende solitaria, una lacrima di pace, una lacrima di sereno abbandono.