Una pagina rotta di segala di porco mi porta verso una luna di prigionia in una Siberia incazzata di dodici turchi vestiti di oro liquido.
Tiro lo schiaquone e venero una pelle di daino zigrinata a forma di palle di Budda mentre parlo a una Maddalena in forma di sperma. Un sapore di tamburo forma la mia istruzione superiore dove la paura dell’arrosto forma un fumo di sigaretta al di sopra di ogni intenzione umana.
I burattini di Geppetto formano il mio immaginario collettivo sottoforma di stereotipi romboidali che pregano la cintura di Orione di lasciarli liberi di cantare una canzone di Porco dio senza che scendano gli angeli dal cielo a razzolare nella materia immonda di un barattolo di Coca Cola che ti spruzza in faccia una risata gassosa e ti fonde i connotati di acido solforico spumeggiante come un’onda corallina dove surfa mio zio a rotelle in una cantilena di una vecchia zitella acida e commossa da batteri di calcestruzzo a forma di pus di peste mormone.
Ringraziamo dio per la sua bontà divina e seguiamo la croce delle capinere migratorie. Il sole albeggia. Il sole tramonta tra le balle liquide dei sapori di chewingum. E l’acqua mi buca le labbra.
Archivi tag: acido solforico
Mi stiracchio in una giungla disabitata
Mi guardo i piedi gonfi di orgoglio e me li massaggio con striature di grigio. Ormai “sfumature di grigio” ” forza Italia” non si possono più dire senza evocare strani sentimenti a curvatura nucleare. Durante un chewingum di strutto rosa penso alle cazzate di pinguini arrostiti in sale semicurve che sgommano su processi di prostitute organizzate e amanti urogenitali che si prostrano al Priapo di turno. Guardo le mie unghie colorate di verde pisello e mi chiedo dove saranno spostati i canguri di domani e se potrò mai guardare la luna da un pianeta del sistema solare di Alpha Centauri. Che bel nome. Chiamerò così mio figlio, un giorno. Quello che avrò da una formica aliena in un’astronave di miele cosmico col quale leccherò e mi farò leccare in un fuoco artificiale di vulcani e ossimori adiacenti.
Perché mi mordo il labbro superiore destro e intingo le parti genitali su carboni spenti di lava che non lava? Perché non demordo dal rincorrere una berlina bionda e aitante che sparge il sugo del proprio pomodoro su calli veneziane tra sparvieri neri e gondole in ricordo di felliniane capinere (giusto per Tilla).
Armi di Teodorici villano nel viatico suburbio in cerca di molle aspidi che segano corpi mutanti di coleotteri gay. Io li osservo entrando e uscendo dalla loro storia per andare in bagno a provare orgasmi anali in posizioni tricolori. Cerco di convincere i miei eroi a condire un’insalata di struzzi con armi leggere che possono vincere la guerra dei mondi infernali tra Erinni lesbiche e esodi di ebrei sciolti in una giungla di acido solforico.