Azzimo


Mi masturbo in un otre livido d’oro dei vitelli adorabili ebrei che sognano quintetti di archi ricchi di olio d’oliva e pane azzimo. Un relitto corrente accende l’animale con corna violente e corre all’impazzata per urinare in mezzo a campi di lettere farcite di more.
Necessito di vedere campi ciechi e valchirie scatenate davanti a tori in catene per partorire froci e consegnarli al lieto evento di un matrimonio che non s’a da fa’. Albicocche a gradimento e pomodori alla moda schizzano sul palco di tressette annodati col fiore. Gesù si mangia un panino alle melanzane e gode in una discoteca all’aperto in una festa trance. Scendono le stelle in un piatto di ragù. Divinamente stronzate che chiedono “ma io sono te?” e ridono a crepapelle per un’infornata di mandorle al vapore. Chiudo gli occhi e vedo sfilate di donne in nero che passeggiano onniscienti al funerale della mortadella. E un uomo vestito di bianco s’incolla alla parete per celebrare l’omelia funebre e dice “Chissà se i santi muoiono o leggono l’Erbolario di qualità”. Perciò cari fedeli io vi domando è meglio la domanda o il dubbio?
Star Treck non fa distinzioni, tra una parabola di Cristo e una frittella di muschio selvatico e tradisce la mugnaia per un tozzo di pane azzimo mangiato sporco nel mese del ramadan.
Mi dirigo verso il cancello e vomito il Dio sporco di Rachele e Giuda. Una pozza di sangue ribolle su cinte di Ebola e migliaia di genti venute dall’est fanno la fila per un virus dal passato infelice.

Pussy pussy bao bao


Vertigini di una spezia rozza mi martellano nella testa e rimbombano il suono di un pesce azzurro che sussurra una poesia lontana. Mi ergo in uno stanzino adornato di ori e primizie primaverili che sanno di stucco e un orologio ticchetta il proprio amore per una salamandra della Tundra occidentale mentre le Pussy Riot gorgogliano il loro inno alla paura di un demente.
Mi crogiolo onniscente nello spazio di un necrofilo che sega attentamente i morti di gennaio e li sotterra sotto la neve. Divengo attentamente un vigile urbano che canta in una chiesa sepolta viva per un’eternità indiavolata. Angeli mangiano panini in salsa tartara mentre vescovi e burattini si lavano le mutande reciprocamente in segno di pasta fresca e pomodorini tagliati sottili.
Un rutto tremendo staglia la battaglia e spezza il seno di una capinera di fronte a serpenti a sonagli che guardano impietriti con occhiali da sole il triste spettacolo della formula uno. Un campionato da perdere per la nazionale di calcio che compra ballotelli e lo rivende per un prosciutto al mercato del pesce marcio. Cantano i gregoriani il futuro della polenta arroventata in grumi di arbusti .
Raggiungimi a Venezia fratello di sole e cantami i reali di Spagna per un colpo di spugna che sa di mughetto.