Il vallo marocchino mi inquieta perché non finge di essere una palla turchina. Se non fingi, non sei, gli dico, ma lui non mi ascolta. Anche il lieto fine. Non c’è mai nella realtà, ma è per questo che si mette sempre. E lui mi guarda in silenzio. Mi chiamo Vallo Marocco mi fa fumando un sigaro nero cane, e faccio l’indiano. Il cielo si fa rosso e i miei coglioni si fanno in quattro per accendere un motore tematico che schiaccia le differenze di sesso trans.
Volevo dire solo che due più due non fa solo cinque. In due parole. È la teoria della foglia di fico. Perché anche i fichi cadono dagli alberi. I quali invece prosperano anche senza i fichi. Segui? Insomma anche se sei un gran fico prima o poi scenderai giù dal pero. Ma questo succede a tutti perché siamo tutti teste matte un po’ fuor di cotenna alla milanese. È così che vedo una barca che affonda poi riaffiora perché le gomme di scorta prima o poi vengono a galla come le balle fuori che quelle di Andreotti, quelle no. Perché sono bugie a fin di bene. Cose che non si devono sapere perché sono benedette dalla giuria popolare.
Capito mi hai? Insomma Vallo Marocco mi riguarda, si pulisce i jeans dal pomodoro della pizza alla bolognese e manda giù un grumo di vermi da pesca come dessert. Solo dopo si riallaccia la cintura e parte in moto salutandomi con un peto verde tamarindo.