Topi fuggono verso una città di pere mature


Corre una squadra di calcio dietro a un torrone rosso liquido. Diviene una porta di assegnazione il molliccio stronzo da tirare per segnare un punto in una torre di fango che scivola sotto i piedi di ventidue ragazzini con pelo e corna. I loro cuori hanno paura. Temono il Dio. Sopportano la malattia carnale con uno sforzo titanico. Una guerra ormonale si scatena all’interno dei loro corpi scoperti e denudati. Dei della stanchezza sommergono lacrime condensate di ornitorinchi grigi. Una storia di verdi foreste e alberi abbattuti come pilastri di una chiesa travolti da un maremoto grida la propria gloria passata e la linfa scorticata da una terra ancestrale che muta e si rivolta a chi non l’apprezza.
Piedi callosi tirano gli ultimi calci a una palla ferrosa di ruggine incandescente tagliandosi calli corrosi dalla lebbra. E ululiamo insieme a loro: mummie che governano il tempio della solitudine artistica. Una folla di gobbi applaude la sfinge che guarda tristemente una stella lontana pensando “casa” e aspettando di parlare alla sua mamma.
Mangio un cane arrosto nell’attesa di un pazzo intelligente che mi racconti una barzelletta che non mi faccia piangere e ascolto musica elettrica che stimoli le mie narici verso odori equipollenti a logaritmi che leccano seni e coseni.
Svengo.

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