Nel tempo di Natale scende la pioggia dalle nevi del Kilimangiaro e un cecchino nero spara all’orizzonte senza sapere che un risotto gli cadrà sulla testa. Mi piego e mi spezzo sull’altare di un pasticciere gay. Uno sparo nel vuoto di un deserto di pietra. Riecheggia l’eco di una musica punk. Un violino si diverte a nitrire e una preghiera ne semina il cuore in tutta la valle. Ereditiamo una follia con lo sconto sulla quantità e un manipolo d’indiani d’america controlla la valle. Al suono del tamburo riflettono la luce di un libro di 36 zollette di zucchero. Quindi invitiamo il presidente degli italiani in una mangiatoia nel fienile di un casinò. Che fischietta dipingendosi la stanza rococò. Una pungente atmosfera di api scivola via nelle mie vene infettose e gongola obesamente tra le palle di Giuda per una piccola palla di pelo che sa di frutta candita. Un immenso rutto di maiale esala l’ultimo respiro nelle viscere della carrozza del principe Pavone.